Educare al rispetto delle regole per tutelare la vita e la convivenza sulle strade
La sicurezza per chi si sposta a piedi sulle strade urbane è diventata anche un problema sociale e di convivenza civile. Pertanto, i vari soggetti istituzionali responsabili delle strade comunali, provinciali e regionali hanno il dovere e la responsabilità di garantire la sicurezza a chi ne fa uso a piedi, in bicicletta, in moto, in automobile, in autobus, autocarri o mezzi agricoli.

Un recente sondaggio lancia un segnale d’allarme sulla sicurezza stradale tra i più giovani: quasi la metà dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni ignora il limite di velocità nei centri abitati.
L’indagine, condotta da Brum su oltre 5.700 partecipanti, mette in luce una preoccupante lacuna nella conoscenza delle regole fondamentali della circolazione.
Il dato più eclatante? Il 47% degli intervistati non sa che il Codice della Strada stabilisce il limite massimo di 50 km/h nei centri urbani.
Chi, però, ha l’abitudine di spostarsi a piedi lungo le strade del nostro territorio sa bene che, ad essere larghi, solo il 20% viaggia ad una velocità che si avvicina al limite indicato di 50 km/h.
Se poi consideriamo le strade dei centri abitati dove i comuni hanno fissato il limite a 30 km/h, allora la percentuale scende a una cifra!
È evidente che la segnaletica si adegua alla pericolosità delle strade, ma chi ha la responsabilità di scegliere e posizionare la cartellonistica scarica su altri soggetti – polizia stradale, carabinieri, vigili urbani – il compito di farla rispettare.
Si tratta del solito “scaricabarile” utile solo a rendere del tutto inutile la loro chiamata in causa di fronte ad incidenti dovuti all’eccessiva velocità che, il più delle volte, supera del 100% il limite posto in bella mostra ad ogni incrocio.
Paradossalmente, più le strade sono “secondarie”, con fondo stradale dissestato e centinaia di passi carrai situati su entrambi i lati della carreggiata, più si vedono sfrecciare veicoli a velocità da brivido.
C’è un evidente e sostanziale disprezzo del pericolo: non solo per se stessi, ma anche per gli altri, che in quel momento hanno la sfortuna di incrociare sulla strada.
Se faccio sedere un minore sul sedile anteriore con la faccia incollata al parabrezza, difficilmente mi farò scrupoli nel viaggiare in modo spericolato.
Se faccio accomodare mia moglie sul parafango di un trattore che sobbalza su una strada statale, non mi preoccuperò certo del fango che i pneumatici rilasciano.
E se sono in ritardo ad un appuntamento, penserò solo a “recuperare il tempo perduto”, ignorando limiti e regole.
L’elenco delle cattive abitudini potrebbe continuare all’infinito…

Tempo fa mi sono imbattuto in uno studio che dimostrava, con cognizione di causa, che se più del 10% dei soggetti disattende una legge o un divieto, allora quel divieto o è sbagliato o inutile.
Per cui, se lo Stato e le sue articolazioni non si pongono il problema di far rispettare le leggi — nello specifico, il Codice della Strada — allora tanto vale metterlo all’indice e farne falò nelle piazze, dichiarando apertamente il proprio fallimento.
A questo punto è evidente che si preferisce lasciare alla capacità di discernimento dei cittadini il compito di organizzarsi come meglio possono, in assenza di chi le leggi le ha fatte e dovrebbe farle rispettare.
Così facendo, però, lo Stato rinuncia al suo ruolo di garante del “governo” e della gestione della “forza” che la Costituzione affida a chi ha il potere pro tempore, dimostrandosi incapace e dismettendo quei “panni” che un tempo aveva saputo onorare.
🕊️ Conclusione editoriale
La sicurezza stradale non può essere affidata solo alla buona volontà dei cittadini. È un diritto e un dovere collettivo, che richiede educazione, controllo e senso civico.
Finché la velocità sarà considerata un gesto di potenza e non una responsabilità, continueremo a contare vittime innocenti sulle nostre strade.
La vera modernità passa da qui: dal rispetto, dall’empatia e dalla consapevolezza che la vita — propria e altrui — non ha limiti di valore.