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    I Viaggi del Poeta

    A Castellabate e Perdifumo sulle orme dei monaci benedettini

    Di LIUCCIO GIUSEPPINO23 Marzo 20187 Min Lettura3 VisiteNessun commento
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    È un miracolo di vegetazione quella pineta che rovescia colate di verde sulla collina e sulla strada che sale a tornanti e, ad ogni svolta, riserva ebbrezze panoramiche nuove. Su, in cima, il borgo arroccato intorno al castello e alla Chiesa-Basilica accende bagliori al primo sole di un inverno rigido ma luminoso.

    E le poche terre coltivate minacciano già le prime gemme. Dal Belvedere lo sguardo spazia a 360 gradi sull’ansa di mare da Tresino a Licosa. In distanza il golfo di Salerno e la Costa di Amalfi. Sono a Castellabate ed il pensiero vola agli antichi Trezeni, che, a destra, sulla collina a dominio di mare, edificarono una città fortificata, i cui resti sono ancora visibili nei blocchi ciclopici, soffocati dai rovi, forse basamenti di un tempio agli dei del mare. A sinistra la collina sfregiata ostenta, in un albergo-residence, insulti impuniti di camorra potente e di collusioni omertose. Più in là uno scoglio bianco ricamato da pinastri ricanta, con l’eco della risacca, la storia di amore e morte della sirena Leucosia. Miti e storie di terre e di mare si incrociano e si sovrappongono in un territorio che è stato teatro di grandi eventi. E pagine di storia nobile narrano le torri costiere di Tresino e Pagliarulo, di Tresino e Cannetiello, di Torricelle ed Ogliastro Marina, così come le chiese e i palazzi gentilizi, le dimore sfarzose dei Perrotti, Jaquinto, Belmonte e Matarazzo, arroccate sulla collina o adagiate nell’esclusività dei giardini lussureggianti a ridosso della marina.

    E, a leggere nelle biblioteche private, negli archivi di famiglia, nei registri degli ospiti, c’è da esaltarsi a sorprese di eventi e personaggi che hanno fatto la storia del Cilento sempre e qualche volta anche la storia del Mezzogiorno e dell’Italia. Qui sono passati re, principi, nobiltà di rango, cardinali influenti, abati potenti. E sì, perché Castellabate è, soprattutto, terra di monaci e di abati, come recita il toponimo. Lo è da quando, nel 10 settembre del 1120, su ordine dell’abate di Cava, Costabile Gentilcore nativo di Tresino, si diede il via alla costruzione di un “castrum” sul colle sovrastante il casale di Santa Maria de Gulia, oggi scomparso.

    I lavori procedettero a ritmo sostenuto, tanto che nello spazio di un anno il castello fu ultimato, a riprova della volitività dell’Abate Gentilcore, da un lato, e della enorme disponibilità della Badia di Cava, dall’altro.

    D’altronde i Benedettini beneficiarono di lasciti consistenti di dame e principi, che fecero a gara per ingraziarsi l’abate, che, però, possedeva già molto di suo. Infatti, suoi erano i porti del Pozzillo, di Ogliarola, di San Primo, di San Matteo ad duo flumina, nonché molti altri approdi disseminati lungo tutta la costa da Agropoli a Velia. E le “saette” dell’Abate, grosse e veloci barche a vela, commerciavano con tutto il Sud ed anche in paesi lontani.

    I casali sottoposti al castello dell’Abate, che nel 1276 erano appena tredici, nel XVII secolo erano diventati quarantadue, a riprova della capacità di espansione del dominio dei monaci benedettini nel Cilento. Monaci che, per la verità, non andavano tanto per il sottile e che, intraprendenti e spregiudicati, concludevano affari nei commerci, pilotavano per mare le veloci “saette” e, all’occorrenza, impugnavano le spade per difendersi dai nemici predoni.

    C’erano, certo, anche monaci colti e santi, preposti alle biblioteche, alle farmacopee e all’evangelizzazione, ma il Castello fu soprattutto centro di potere e di attività economiche. E chi volesse scrivere la storia dell’agricoltura, del commercio, della pesca e della marineria del Cilento finirebbe per narrare anche buona parte della storia del monachesimo benedettino e viceversa.

    Perdifumo è noto ai più per il ripetitore televisivo su cui sono sintonizzati i cittadini della provincia di Salerno ed oltre. Ed è uno spettacolo da brivido quello che offre a quanti si avventurano fin lassù a ridosso dei tralicci di acciaio e delle diavolerie delle telecomunicazioni. I castagneti rovesciano, nella stagione giusta, colate di verde sul centro abitato rimasto quasi intatto nella compattezza del centro storico con i palazzi gentilizi carichi di storia e le chiese ricche di opere d’arte.

    Più in giù la frazione di Camella ostenta la storia della sua contea nel lastrico della strada principale e nella bella epigrafe (1536) sulla fontana pubblica con tanto di stemma degli Altomare. E, se chiudi gli occhi, ti figuri ancora il borgo fortificato a corona del castello a dominio dell’alta valle del Testene.

    Dall’altro lato la spianata di Mercato, che fu centro accorsato per il “Forum Sabati”, importantissima fiera per lo smercio dei prodotti della terra e dell’artigianato sin dal 1500. Qui Gioacchino Murat ipotizzava la nascita di una città, punto di riferimento di attività economiche e culturali e, naturalmente, centro di attività politiche ed amministrative.

    Più in là Vatolla ricorda, nel bel palazzo Vargas-Macciucca, il soggiorno cilentano di Giambattista Vico e plana in dolce pendio verso il mare di Agropoli e la piana di Paestum nel trionfo degli ulivi, a cominciare da quello secolare che veglia sul convento di Santa Maria della Pietà e alla cui ombra il filosofo amava raccogliersi per le sue meditazioni.

    Ma il territorio di Perdifumo è ricco di tradizioni, che rievocano il passaggio di monaci basiliani, prima, e benedettini, poi. A sud-ovest dell’abitato è possibile ammirare ancora oggi i ruderi imponenti del monastero di Sant’Arcangelo. Lo fondarono i monaci italo-greci e divenne ben presto famoso come luogo di culto, ma anche centro di attività economiche, palestra di educazione per i contadini che appresero tecniche nuove per l’agricoltura.

    Quando i Normanni divennero signori di Salerno e della sua provincia, il vescovo Alfano, con il sostegno del Guiscardo, avviò il processo di latinizzazione di tutto il Cilento o quasi. Dalla sede vescovile di Policastro il monaco benedettino Pietro da Salerno mise in atto le direttive del vescovo Alfano. I cenobi basiliani si svuotarono e lasciarono campo e mani libere ai benedettini, desiderosi di espansione religiosa, ma anche e, forse, soprattutto economica e commerciale. Pietro lasciò Policastro e si trasferì nel cenobio di Sant’Arcangelo di Perdifumo, di cui divenne il primo abate. Fu proprio qui, infatti, che sperimentò, per la prima volta nell’Italia Meridionale, la “Riforma di Cluny”: i cenobi basiliani divennero abbazie. Scomparvero gli igumeni e nacquero gli abati.

    All’Abbazia vennero aggregati numerosi conventi, retti da un priore, cui facevano capo chiese e cellae ramificate nei “fundi” per il controllo delle attività economiche. I “tipicoi” di S.Basilio (preghiera, obbedienza, meditazione, rigore di ricerca, studi di testi classici e libri biblici) furono sostituiti dalla “regola” di S. Benedetto (preghiera e lavoro).

    Per Sant’Arcangelo di Perdifumo iniziò un nuovo percorso storico che lo portò ad essere uno dei conventi più importanti e più ricchi del Cilento. Fu punto di riferimento di molti conventi vicini disseminati nei centri cilentani, da Camella a Montecorice, da Serramezzana a Capograssi. E i monaci di Sant’Arcangelo furono protagonisti non solo e non tanto della evangelizzazione e della latinizzazione di paesi e casali arroccati intorno al Monte Stella o disseminati sulle colline digradanti verso la vallata dell’Alento da una parte e verso il mare dall’altra, ma diedero un impulso notevole alla rinascita economica di tutto il Cilento, soprattutto nel settore dell’agricoltura.

    Facilitarono ed incoraggiarono il dissodamento e lo sfruttamento delle terre incolte, introducendo il contratto del “pastinato”, che tanta fortuna avrà nel corso dei secoli.

    La presenza dei monaci la si respira ancora in giro tra abbazie dirute e conventi restaurati, tra chiese di campagna, grancie e cappelle gentilizie.

    Le loro imprese non sempre esemplari hanno popolato la fantasia popolare, come attestano le tradizioni orali storicizzate nei canti che parlano di monaci intraprendenti che hanno lasciato, spesso, eredi della loro feconda…santità: “Camella e Pierdifumo tutti santi!/ Li frati nce mettèro la semente./ Furo arracquate bene chere chiante/ ca nascèro tutta bona gente”.

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