
Dal Cav. Attilio De Lisa del Comune di Sanza nella diocesi di Teggiano-Policastro con gli Auguri di Buon Onomastico a suo figlio Rocco e a tutte le Persone con questo Nome.
Il Cavaliere oggi ha anche un altro ricordo in quanto Sabato 16 Agosto 1997 si è sposato e contratto matrimonio con la defunta moglie Sabina Citera scomparsa prematuramente l’8 agosto 2013 in un incidente stradale sulla Bussentina 517 e rimasto vedovo da 12 anni di cui padre dei due figli Rocco e Vincenzo, quindi prima di tale decesso lo stesso giorno festeggiava sia l’Anniversario di matrimonio che l’onomastico di suo figlio.
Oggi nella propria zona in onore di San Rocco è Festa patronale sia a Sassano nel Vallo di Diano che a Caselle in Pittari nel Basso Cilento.

Rocco di Montpellier, noto come san Rocco (Montpellier, 1345/1350 – Voghera, notte tra il 15 e il 16 agosto 1376/1379), è stato un pellegrino e taumaturgo francese, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e patrono di numerose città e paesi.
È il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste, e la sua popolarità è tuttora ampiamente diffusa, tant’è che un recente studio ha individuato san Rocco come il secondo santo più invocato, dai cattolici europei
Il suo patronato si è progressivamente esteso al mondo contadino, agli animali, alle grandi catastrofi come i terremoti, alle epidemie e alle malattie gravissime; in senso più moderno, è un grande esempio di solidarietà umana e di carità cristiana, nel segno del volontariato.
Con il passare dei secoli è divenuto uno dei santi più conosciuti nel continente europeo e oltreoceano, tanto da essere il più rappresentato in assoluto sui santini, ma è rimasto anche uno dei più misteriosi.
La nascita e l’adolescenza
Julius Schnorr von Carolsfeld, L’elemosina di san Rocco, 1817.
Nacque da una famiglia agiata di Montpellier, in Francia. I genitori, Jean e Libère,erano avanti con gli anni e oramai avevano perso la speranza di avere un figlio. Pertanto la nascita di Rocco venne presa come una grazia ricevuta e per questo l’evento fu molto festeggiato, anche in funzione del fatto che veniva data una discendenza al casato. Il battesimo di Rocco avvenne nel santuario cittadino di Notre-Dame des Tables.
Ricevette un’educazione fortemente cristiana da parte della madre, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla Vergine Maria e che lo spinse sin dalla nascita a diventare un “servo di Cristo”, ossia seguire Gesù nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste, come si può notare dalla croce rossa marchiata sul suo petto come simbolo di vocazione eterna. Il suo sentimento religioso, i suoi comportamenti abituali (consolare il pianto dell’orfano, prestare assistenza all’infermo, dare da mangiare all’affamato), il suo carattere amabile nonostante le sue ricche origini, ricordavano a distanza di un secolo Francesco d’Assisi a cui Rocco era devoto. A queste qualità d’animo si univano le doti della mente grazie alla formazione sino all’età di vent’anni presso l’università di Montpellier. Più o meno ventenne, gli vennero a mancare a breve distanza l’uno dall’altro i genitori e, successivamente a questi eventi, distribuì ai poveri i suoi averi e s’incamminò per voto in pellegrinaggio verso Roma con l’abbigliamento tipico dei pellegrini dell’epoca.
Il pellegrinaggio verso Roma
Jacopo Tintoretto, San Rocco presentato al Papa, XVI secolo.
Rocco si incamminò, presumibilmente, da Montpellier a Saint-Gilles, dove imboccò la via Tolosana (chiamata oltralpe via Italiana), strada di pellegrinaggio tra il sud della Francia e il nord Italia, passando per Arles, Tarascon e Aix-en-Provence. Il tratto di strada successivo, per raggiungere la Toscana, è soggetto a due ipotesi: o la più breve, cioè la via Aurelia passando per Nizza, Savona, e fino a Genova, o quella più utilizzata dai pellegrini dell’epoca, che attraversava le Alpi sul Colle del Monginevro (sopra Briançon) per raggiungere la via Aemilia Scauri finendo quindi per confluire in quella che era la via Francigena, chiamata anche «romea» poiché conduceva i pellegrini a Roma. Entrambe le ipotesi confluiscono a Luni per poi attraversare Lucca, Firenze, Siena.
Questo tragitto in terra italiana avvenne durante l’epidemia di peste che investì l’area negli anni 1367 e 1368, e Rocco andò a soccorrere i contagiati anziché scappare dai luoghi ammorbati. Il pellegrino francese comunque aveva già conosciuto l’epidemia nella sua giovinezza a Montpellier, poiché la città occitana era stata investita dal morbo nel 1358 e nel 1361. Nella tragedia che colpì l’Italia, si faceva strada Rocco che, nonostante la sua persona delicata (piccolo di statura, pelle bianca, mani sottili ed eleganti, capelli biondi e arricciati, occhi dolci e pensosi e una testa piccola e regolare), si sentiva ugualmente idoneo ad affrontare il grave pericolo di un lungo viaggio e dedicarsi alla sua vera vocazione: la carità, senza alcun limite di tempo e spazio. Nel suo pellegrinaggio mai si confuse nella folla intenta a visitare e ammirare le chiese e i monumenti delle città.
Dalla Toscana Rocco raggiunse Acquapendente, una delle poche città ricordate unanimemente da tutte le antiche agiografie, non solo come tappa fondamentale e irrinunciabile per qualunque pellegrino medievale diretto a Roma, ma soprattutto in quanto suggestivo luogo del primo, importante episodio della vita di Rocco in terra italiana. Arrivò nel paese tra il 25 e il 26 luglio del 1367 e l’incontro con Vincenzo, presumibilmente sopraintendente nel locale Hospitale di San Gregorio, è infatti diventato l’unico episodio che possa essere paragonato, in termini di popolarità, con i celebri eventi della zona di Piacenza. Un fatto straordinario accompagnò la missione del giovane pellegrino ad Acquapendente: su invito di un angelo, egli benediceva gli appestati con il segno della croce e all’istante li guariva toccandoli con la mano taumaturgica. Così, in breve tempo, l’epidemia si estinse.
Lasciata Acquapendente Rocco abbandonò la strada per la Città Santa per andare a Cesena, dove era in corso un’epidemia di peste, quindi riprese il suo percorso, sempre sulla via Francigena, da Arezzo, Orvieto, Bolsena, Viterbo, Sutri, arrivando a Roma.
Giunto a Roma, sempre nel periodo compreso tra il 1367 e il 1368, vi rimase tre anni curando gli ammalati all’Ospedale di Santo Spirito. Nella città eterna curò anche, fino a ottenerne la guarigione, un cardinale non meglio individuato che lo presentò in udienza al pontefice, che rimase ammirato da quel giovane.
Il soggiorno a Piacenza
Jacopo Tintoretto, San Rocco colpito dalla peste, 1559.
Rocco ripartì da Roma per ritornare a Montpellier. Tra i luoghi toccati durante il viaggio di ritorno ci sono Assisi, Rimini, Forlì, ancora una volta Cesena, Bologna, Parma, Modena, dove intervenne in altre epidemie, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, cosa che iniziò a far emergere i carismi del santo presso la gente.
Questo viaggio fu interrotto da un’epidemia di peste, in corso a Piacenza. Rocco vi si fermò ma mentre assisteva gli ammalati, probabilmente nell’ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato. Per non mettere a rischio altre persone, si trascinò fino a una grotta o una capanna lungo il fiume Trebbia, secondo la tradizione in una zona che all’epoca era alla periferia di Sarmato, sempre sulla via Francigena. Con il passare del tempo, la fame e la sete sembrano diventare la causa della sua prossima fine. Le antiche agiografie, a questo punto, narrano che un cane durante la degenza di Rocco appestato, provvide quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo. Se si trattasse del castello di Sarmato, il nobile potrebbe essere identificato in Gottardo Pallastrelli che, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse nella capanna di Rocco. Soccorso e curato dal nobile signore, Rocco riprese il suo cammino. Gottardo voleva seguirlo nella vita di penitenza ma Rocco glielo sconsigliò. Nonostante ciò, talmente commosso alla vista di quel mendico e affascinato dalle sue parole, cedette anch’egli ai poveri il suo patrimonio e si ritirò da pellegrino in quella capanna. Gottardo, secondo alcuni storici, divenne il primo biografo del santo francese.
La peste intanto riapparve di nuovo violenta a Piacenza e quindi Rocco ritornò in città sul campo d’azione; debellato definitivamente il morbo nella città e nei villaggi circostanti, il santo si ritirò nella selva, per occuparsi degli animali colpiti dalla peste, non più isolato bensì accompagnato da parecchi piacentini che professandosi suoi discepoli, mostrarono l’interesse di coadiuvarlo e trasmettere il suo coraggio e le sue parole. Esaurito il suo compito, riprese la strada per il ritorno in patria.
La prigionia e la morte
Charles-Amédée-Philippe van Loo, San Rocco e l’angelo, XVIII secolo.
Tutte le antiche fonti, e le nuove scoperte storiche, concordano sul racconto degli ultimi anni di vita di Rocco. Al contrario la località di ambientazione dei fatti è discordante. L’antica tradizione vuole che il santo sia tornato a Montpellier mentre le scoperte successive concordano che quello che avrebbe dovuto essere il ritorno nella sua città natale si interruppe sempre in terra italiana, probabilmente a Voghera (gli errori e le alterazioni di dizione, crearono una confusione con Angera).
Jacopo Tintoretto, San Rocco in gloria, 1564.
In una regione funestata dalla guerra giunse Rocco, anelante di ritornare in patria senz’altro chiedere che una tranquilla ospitalità. Dalla barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, giunse al confine della cittadina, non sfuggendo né alla curiosità della gente né alla vigilanza delle sentinelle. Nessuno lo riconobbe, pur essendo i suoi parenti per parte di madre di origine lombarda: sospettato per la sua riluttanza a rivelare le sue generalità (dicendo di essere «un umile servitore di Gesù Cristo») e scambiato per una spia, fu legato e condotto dinanzi al governatore, suo zio paterno, che non lo riconobbe (e nulla fece Rocco per farsi riconoscere). Non si ribellò quando senza ulteriori indagini e senza processo finì in carcere restandovi per un lungo periodo (dai tre ai cinque anni) dimenticato da tutti.
La prigionia fu vissuta dal santo in un tormentoso silenzio e nel desiderio di essere lasciato in solitudine, non riconosciuto, a vivere quei pochi giorni che gli restavano. Non si lamentava della sua sorte, anzi aumentava i tormenti del carcere castigando la sua persona con molte privazioni, continue veglie e flagellazioni cruente. Se gli si domandava: «È mai vero che siete un esploratore dei nostri nemici?» lui rispondeva: «Io sono peggiore di una spia». Nonostante gli innumerevoli sforzi di un sacerdote, insospettitosi dello strano atteggiamento di Rocco durante le sue visite in carcere, di perorare la causa del prigioniero, il governatore non prestò ascolto. Intanto nella cittadina correva la notizia che in carcere un innocente si lasciava morire. Rocco morì nella notte tra il 15 e il 16 agosto, in un anno imprecisato tra il 1376 e il 1379.
L’annuncio della sua morte lasciò un intenso dolore, che invase l’intera popolazione unito allo sgomento per aver fatto morire un innocente in carcere. Tale commozione esplose quando a fianco della sua salma venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome di Rocco e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello». Soprattutto suscitò scalpore il riconoscimento del corpo da parte di una dama, la nonna di Rocco e madre del governatore, che grazie alla croce rossa impressa sul suo petto identificò in lui suo nipote. Il compianto di un’intera cittadinanza fu il premio di tanta virtù, e in sua memoria la salma, sulla quale si scolpirono le parole rinvenute sulla tavoletta, venne deposta in una grande chiesa.
Voghera divenne il luogo del primo deposito del corpo del santo e, soprattutto, il fulcro della prima espansione del suo culto, insieme alle limitrofe zone piacentine.

Cavaliere Attilio DE LISA



