Ci fu un tempo in cui la Sinistra era la coscienza critica del Paese, impegnata nella difesa del paesaggio, nella lotta alle speculazioni edilizie, fronteggiando gli appetiti di spregiudicati costruttori edili, definiti dispregiativamente palazzinari.

Anche il cinema, con Francesco Rosi ne “Le mani sulla città” e con Ettore Scola in “C’eravamo tanto amati” , ha rappresentato degli affreschi di un’epoca buia, volgare e corrotta, testimoniando fedelmente le degenerazioni del boom economico, individuando vittime e carnefici in quel sistema.
La cronaca di oggi vede proprio Milano, la capitale morale, quale epicentro di un nuovo terremoto giudiziario chiamato “Palazzopoli” dove, questa volta, vengono messi sotto accusa proprio gli eredi di quella Sinistra, pura ed idealista, con l’accusa di essere stati protagonisti di una delle più grandi speculazioni edilizie degli ultimi anni.
Oltre settanta indagati, tra cui il Sindaco di Milano, tecnici comunali, professionisti ed imprenditori.
Trasformazioni urbanistiche gonfiate all’inverosimile, con cambi di destinazione, da capannoni ad uso industriale a civili abitazioni ed uffici, con uno straordinario connubio tra la sfera politica, quella tecnico-amministrativa ed il mondo dell’edilizia, il beneplacito corale degli opinionisti, i quali hanno decantato questo modello di sviluppo, condito dal solito falso perbenismo, di una supposta efficienza meneghina, legata esclusivamente al facile arricchimento.
Così è nato il mito fallace dei boschi verticali, giganti dai piedi di argilla, assurti poi alla cronaca per gli incendi ed i crolli delle insegne di prestigiose maison assicurative.
Non senza la firma di fameliche archistar con la patente dell’impunità, dovuta al prestigio del loro rango professionale.

Un castello di menzogne, di falsi miti progressisti, che hanno creato nuove ricchezze in modo spregiudicato, finendo per affamare e distruggere il ceto medio, privato della dignità di essere protagonista di questa società, come lo fu negli anni ’50 e ’60.
In questi anni non si sono sentite voci critiche dalla politica, dai sindacati, dal mondo della cultura, dall’informazione, segno di un appiattimento complice con la classe dirigente milanese.
Una ulteriore mutazione genetica della Sinistra italiana, non più rappresentativa dei ceti popolari, ma che ha finito per essere più in sintonia con i fondi di investimento, le banche d’affari e con i nuovi palazzinari. Proprio contro quelli che un tempo erano i nemici da combattere in nome di una battaglia di civiltà.
L’inchiesta giudiziaria di Milano, qualunque siano gli esiti processuali, ha sicuramente un merito, quello cioè di aver alzato il velo dell’ipocrisia su questo sistema, evidenziando tutte le contraddizioni di una parte politica che ha tradito i propri ideali, smettendo di rappresentare le istanze di chi chiedeva giustizia sociale.
Una brutta nemesi storica per questi partiti, che hanno espulso dalla rappresentanza politica intere fasce sociali, come dei corpi estranei, i quali rivendicavano la dignità di sentirsi protagonisti, venendo invece relegati nei ghetti delle periferie metropolitane.
Pietro Nenni un giorno disse: preoccupiamoci di quando parleranno bene di noi il Corriere della Sera ed il Sole 24 Ore.
Quel momento è arrivato da un bel pezzo, da quando la Sinistra ha pensato più di accreditarsi nei salotti buoni, dimenticando i quartieri popolari, le periferie, i mercati rionali, cioè il proprio elettorato.



