Quando si parla di filiere, si rischia di immaginare qualcosa di tecnico, magari freddo e lontano dalla realtà quotidiana delle nostre zone interne.
In realtà, una filiera è una delle cose più semplici da capire e più straordinarie da mettere in pratica.
È un lavorare insieme, un passaggio di testimone e un intreccio di mani diverse che si tendono l’una verso l’altra.
È un territorio che smette di agire come una somma di individui e comincia a funzionare come un unico grande organismo.
Per capirlo davvero, immaginiamo la vita di un prodotto.
Prendiamo il grano dei nostri nonni: nasce nel campo, passa tra le mani del contadino, arriva al mulino, diventa farina, viene lavorato da un forno, prende forma in un piatto, viene assaggiato da un turista, raccontato da una guida e fotografato da un giovane che ne condivide la storia.
Ogni volta che questo grano cambia mani, genera valore.
Ogni passaggio è un servizio, un lavoro e una possibilità.
La filiera è proprio questo: il percorso completo che compie un prodotto dal campo alla tavola, e poi oltre, fino al racconto turistico ed economico di un territorio.
Ed è proprio perché coinvolge tanti passaggi che una filiera crea reddito.
In un territorio dove c’è solo produzione agricola, il guadagno è minimo e spesso instabile: si vende materia prima e il valore vola via verso altri luoghi dove avvengono trasformazione, confezione, marketing e distribuzione.
Con la filiera, invece, tutto questo rimane qui.
Il mulino locale lavora, il laboratorio trasforma, il ristoratore propone, la guida accompagna, l’artigiano crea accessori e chi racconta il territorio aggiunge valore con parole e immagini.
Ogni fase che resta nel territorio è reddito che resta nel territorio, moltiplicando opportunità e stabilità.
È un meccanismo semplice: se un prodotto viene trasformato e valorizzato “in casa”, vale molto di più.
E se questo valore si divide tra tante persone, tante imprese e tante competenze, allora nasce un’economia circolare, solida e resistente.
Da un solo prodotto si genera una catena di occasioni, perché ogni passaggio della filiera è un posto di lavoro: dall’agricoltura alla trasformazione, dalla logistica all’accoglienza, dal commercio al turismo e dalla comunicazione digitale alla formazione professionale.
Ecco perché le filiere fanno crescere l’occupazione: perché dove prima c’era un solo lavoro, ora ce ne sono molti.
Le nostre zone interne del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni sono il terreno perfetto per far vivere filiere forti.
La storia millenaria di queste terre, dalle radici enotrie alle tracce greco lucane e romane, ci insegna che i nostri antenati già collaboravano come in un sistema organizzato.
Coltivavano, trasformavano, scambiavano, trasportavano e vendevano.
Le città e gli insediamenti antichi non sorgevano a caso: seguivano rotte, vie e relazioni.
Basta guardare luoghi come Monte Pruno, sopra Roscigno, per rendersi conto che le filiere non sono un’invenzione moderna, ma un’eredità profonda.
Sul pianoro di Monte Pruno vivevano i Lucani che già sapevano cosa significasse cooperare: coltivavano la terra, scambiavano beni e organizzavano attività comunitarie.
Le antiche vie che collegavano Monte Pruno ai villaggi circostanti erano veri e propri corridoi economici.
Quelle strade di crinale, percorse da uomini, animali e merci, erano i primi sistemi di rete del territorio, vie che univano agricoltura, pastorizia, artigianato e commercio.
Oggi, quelle stesse connessioni possono diventare la base fisica e simbolica delle filiere moderne, percorsi che non collegano più solo luoghi, ma competenze, laboratori, aziende, prodotti e storie.
Lo stesso vale per la cucina dei nostri avi.
I piatti poveri, nati dalla necessità, sono oggi ricercatissimi proprio perché raccontano una storia autentica.
Ogni ricetta porta con sé un metodo di conservazione, un ciclo stagionale e una tradizione familiare.
E ogni prodotto tipico, come il grano antico, il pane di montagna, i formaggi delle transumanze, le castagne degli Alburni, il miele dei pascoli alti o le erbe officinali, è materia viva per costruire una filiera moderna e competitiva che poggia sulle fondamenta della tradizione.
Ed è qui che emerge una verità ancora più importante: non partiamo da zero.
Nei nostri territori interni molte attività economiche esistono già e rappresentano la base ideale per costruire filiere solide.
Aziende agricole, caseifici, apicoltori, produttori di castagne, pastifici, agriturismi, ristoratori, guide escursionistiche, artigiani e laboratori di trasformazione costituiscono un patrimonio diffuso, silenzioso, ma preziosissimo.
Ma tutto questo non basta se resta isolato.
Non bisogna sprecare risorse né disperdere energie in progetti che non dialogano tra loro.
È indispensabile parlare con i veri imprenditori del territorio, quelli che ogni giorno vivono il lavoro, la qualità e la fatica.
Serve ascoltarli, coinvolgerli e metterli insieme in una visione condivisa.
Ed è qui che diventa cruciale un passaggio: per costruire una filiera non bastano le idee, servono le persone giuste.
Occorre partire dal mettere insieme imprenditori che credano davvero nella rete, che abbiano la maturità e la visione per capire che da soli si sopravvive, ma insieme si cresce.
Imprenditori che vogliano lavorare seriamente per far emergere sia le nuove economie che stanno nascendo, sia quelle antiche che meritano di tornare a vivere.
Costruire una filiera significa creare fiducia.
Significa far sedere allo stesso tavolo chi produce e chi trasforma, chi vende e chi accoglie e chi racconta e chi innova.
Significa riconoscersi parte dello stesso destino economico e sociale.
Quando questo accade, il territorio cambia respiro.
Ed è in questo contesto che entra in scena una filiera decisiva per il futuro: la filiera del turismo dei prodotti locali a km 0.
Un turismo che non cerca souvenir, ma esperienze vere; non vuole un piatto qualsiasi, ma un piatto che racconti una storia e non vuole vedere un paesaggio, ma entrarci dentro.
Ogni azienda agricola diventa una tappa, ogni caseificio una storia e ogni laboratorio un incontro.
Il turismo alimenta la produzione locale e la produzione locale alimenta il turismo, creando un cerchio perfetto, virtuoso e fertile.
È per questo che una filiera non solo genera reddito, ma diventa un motore di sviluppo duraturo.
Dove c’è una filiera, i soldi non entrano e scappano: circolano, si trasformano e ritornano.
Una filiera è un organismo vivente che alimenta se stesso.
Se produce, dà lavoro; se dà lavoro, crea comunità; se crea comunità, richiama giovani; se i giovani restano, arrivano idee; e dalle idee nascono nuove imprese.
E tutto questo contrasta lo spopolamento.
Nessuno resta in un territorio senza prospettive, ma molti restano e tornano in un territorio che crea lavoro, sostiene le imprese, valorizza le capacità e costruisce un’identità condivisa.
Una filiera non è solo produzione: è una catena di radici, motivazioni e speranza.
Le filiere sono, in fondo, l’incontro tra ciò che siamo sempre stati e ciò che possiamo ancora diventare.
Uniscono storia, archeologia, antiche vie di collegamento, attività economiche già presenti, turismo autentico a km 0 e imprese moderne in un’unica direzione: creare reddito, occupazione, sviluppo e vita nelle nostre zone interne.
Il Cilento, il Vallo di Diano e gli Alburni non hanno bisogno di essere salvati.
Hanno bisogno di essere attivati, ricuciti e valorizzati con un modello che parte dalle radici e arriva al futuro.
E le filiere sono questo: una mano che si tende al passato, una che costruisce il presente e una che apre la porta al domani.



