Si vanti pure e gridi alto di Giovanni la magnifica città di Salisbury il nome!
A Giovanni (Salisbury 1115/1120 – Chartres 25 ottobre 1180) figlio della città di Salisbury che tenendo di Dio in alto il suo potere del re sulla terra cantò il buongoverno.
EPIGRAFE
Sulla differenza tra un principe e un tiranno, e su cosa sia un principe.

Pertanto, l’unica o la più grande differenza tra un tiranno e un principe è questa: che quest’ultimo obbedisce alla legge e governa il popolo secondo la volontà di colui di cui crede di essere ministro, e nell’esercitare i doveri dello Stato e nell’accettare i pesi della legge rivendica il primo posto per sé, e in questo è preferito agli altri, perché, mentre ciascuno è legato a ciascuno, i pesi di tutti ricadono sul principe… è infatti una voce degna, come dice l’imperatore, professare che un principe è vincolato dalle leggi per la maestà del regnante. Infatti l’autorità di un principe dipende dall’autorità della legge; ed è veramente più grande dell’impero sottomettere il principato alle leggi; cosicché il principe non possa pensare che gli sia permesso fare qualcosa che sia in contrasto con l’equità della giustizia
(Giovanni di Salisbury, “Policraticus” Libro IV, Cap. I)
Non era ancora tempo, sarebbe venuta dopo con gli anni, ma a conoscere della tua fertile terra britanna la potestà di filosofi, “cronisti” e soldati, io sapevo, particolarmente per quel tal monaco benedettino che autore di una “Cronica Maiora” aveva, fra tutti i principi della terra, più in alto posto il mio Imperatore, scrivendo di lui che fu “il più grande tra i principi della terra, Federico, stupore del mondo e meraviglioso modificatore”. Ed ancora continuando, a me sempre più caro, di contro alla infida propaganda guelfa che lo diceva “negli abissi infernali senza portare altro con sé che la bisaccia colma di peccati” e assolvendolo da ogni accusa, ribattendo che “morì sciolto dalla sentenza di scomunica da cui era stretto, dopo aver indossato l’abito dei cistercensi, mirabilmente compunto e umiliato.
Morì nella festa di santa Lucia, perché non si vedesse quel giorno che un terremoto era avvenuto senza ragione e invano. Unatestimonianza vera che non negli anatemi di un papa ma nella povertà di una umile veste monacale ritrovava la grandezza di un imperatore che colto et lungimirante aveva con il suo genio e con le sue leggi illuminato il mondo.
Ma questa è un’altra storia, ma quello che però del tuo patriota mi riportava a te, maestro Giovanni, non era tanto il mio imperatore, ma piuttosto il tuo tanto viaggiare. Infatti insigne“cartografo” ed esperto “miniaturista” il tuo patriota fu tra l’altro autore anche di un “Iter de Londinio in Terram Sanctam”, incui descrivendo per tappe quel cammino che da Londra avrebbe portato in Terrasanta, re, crociati e pellegrini, sempre, mi tornavano in mente i tuoi viaggi. E ti ho visto, maestro, “messo” più volte (tu stesso nelle tue Epistole, affermasti di aver più di dieci volte valicato le Alpi) inviato dal tuo primo arcivescovo Teobaldo a Roma, con il bastone e la bisaccia sulle spalle camminare quella via, che, e ancora tiene, nome “Francigena”, a passo lesto nella speranza di comporre quello che il tuo re alla chiesa di Roma opponeva, chè questo era il tuo voto e fosti tu a scriverlo ed a testimoniarlo in quella tua “Historia Pontificalis”. Anni intensi di frenetica et appassionata operosità diplomatica, perché, in un tempo in cui infuriavano i contrasti e tra la Chiesa e l’Impero correva da tempo una guerra sanguinosa, tu, maestro, affermando che “il benessere pubblico, cioè dei singoli e della comunità, consiste nella sicurezza della vita: infatti non vi è nulla di più salutare della sua sicurezza” tanto ti legasti a quel tuo “voto” che non bastando i tuoi tanti viaggi allo “scriptorium” ti sedesti. E prima sulle orme dei tuoi grandi maestri di Chartres, primieramente del signore del “Sic et Non” che per il “Timeo” alla “natura” per primoassegnò un’anima, anche tu, come già qualche secolo prima, l’altro tuo patriota che sulla fede, affermando non “credo quia absurdum” ma “intillego ut credam”, faceva primeggiare la ragione, anche tu, muovendoti in quella direzione, in poco tempo, prima con il maestro Teodorico e poi per Gilberto, che la chiesa contestò, non più semplice “Epifania” nel mondo ma “creatura”, sì di Dio, ma con una sua anima autonoma, ossia una natura nuova che vivificata dalla potenza dello “Spirito Santo” si fa forza motrice, ordinatrice del mondo: potenza autonoma, forza universale (vigor universalis) che non solo fa essere tutte le cose ma le fa essere quelle che esse sono. Non più quindi, come tradizione voleva, una semplice “figlia di Dio” da lui dipendente ma un regno autonomo con peculiarità, leggi e principi propri.
Quei principi e quelle leggi, che solo qualche secolo dopo, quel tal grande Calabrese vanterà essere le uniche (iuxta propria principia) che della natura potranno darci una conoscenza vera et certa, leggi quindi e principi che ricavati dalla medesima natura. Indipendenti da ogni autorità o forza soprannaturale. “Guida migliore del vivere” che come nell’uomo “ha riunito tutti i sensi …nel capo” così ha fatto per tutte le sue stesse creature. Una natura autonoma e con leggi sue che riconquistata ad una più alta e consapevole dignità che radicando lentamente in quel “metodo induttivo” di quel tal ministro guardasigilli della regina Elisabetta, avvierà quel cammino virtuoso che nel tempo porterà a quell’“empirismo”, che fu e rimane gloria della tua patria. Una visione nuova che spingendo in avanti porterà anche ad una maggiore attenzione per la condizione umana ed al ruolo dell’uomo nella società, in particolare al suo agire pubblico. E tanto fu questa spinta potente che presto, maestro Giovanni, dopo aver giovato con la diplomazia alla pratica “politica”, decidesti che era temoche anche la “teoria” politica, ovvero la riflessione, dovesse dare il suo contributo e fu così che con il tuo saggio dal titolo “Entheticus ad Policraticum”, nel quale trascorrendo, per personaggi ed aneddoti esemplari la storia della filosofia, avvierai, e sarai il primo, il medioevo verso quella “filosofia politica” che nei “ragionamenti” del grande Segretario fiorentino troverà il suo più alto compimento. Infatti la tua appassionata difesa delle “arti liberali”, in particolare dei classici latini e greci, al cui studio affidavi la riconquista diquella perduta ”humanitas” che fu la saggezza e la grandezza degli antichi, contro coloro che nel tuo “Metalogicon” appellerai i “cornificiani” e dei quali, da “Wikipedia” apprendo, scrivevi: “sono gente che concepisce non si sa quale arduo pensiero e ignoto a tutti i sapienti nel gonfiore del suo ventoso polmone, sicché non si degna di rispondere a nessuno né di ascoltare qualcuno pazientemente. Qualunque tesi tu gli proponga ti insulterà o riderà […] nella scuola dei cornificiani si discuteva allora questa questione, se il porco condotto al mercato sia tenuto dall’uomo o dalla corda.
Altra questione: se ha comprato anche il cappuccio chi ha comprato la cappa intera”, fu infatti così marcata e profonda che rimanendo non passarono tanti anni, che altri, assai più in alto, venendo alla tua parte e riprendendo con forza quel tuo accorato appello, avviarono quella florida stagione che vide l’Italia al centro della cultura e fu della storia l “umanesimo”. La tua difesa delle arti liberali che sognavi in quella forma di “accademico eclettismo” che fu già del tuo antico maestro Cicerone, di raccogliere e di rivalutare per l’azione dell’umano giusto agire ed abbandonando per sempre la “vexata quaestio” degli universali, che pure tanto appassionava i tuoi contemporanei e che tu ritenevi impossibile da risolvere, alla “politica” ossia all’azione del buon governo ti consegnasti. E, come già il tuo amato Bernardo al suo allievo papa, anche tu segnando il “vello bianco” ancora un trattato vergò il tuo genio e fu il tuo “Policraticus, sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum”. Un libro che diffuso in otto premettendo che “la professione della verità è davvero una questione difficile e viene spesso violata dall’incombente oscurità degli errori o dalla negligenza di chi la professa”….per cui “il primo passo nel filosofare è quindi discutere i generi e le proprietà delle cose, così da poter riconoscere con prudenza ciò che è vero in ciascuna; il secondo, affinché ciascuno possa perseguire fedelmente quella verità che gli è sorta. Ma queste vie del filosofare sono accessibili solo …a coloro che la verità hanno liberato diventano liberi e che, servendo lo Spirito, hanno sottomesso il giogo dell’iniquità e dell’ingiustizia.
Perché dove è lo Spirito di Dio, lì è libertà” principiavi e condannando della corte alcuni modi e costumi avanzavi a tracciare di contro quali di un “principe” avrebbero dovute essere le virtù necessarie per giustamente et moralmente governare. Virtù che dopo averle ben esposte ed elencate così con voce tonante, continuando scrivevi ed “ora ascoltiamo in cosa il tiranno differisce dal principe” concludendo che “l’unica o la più grande differenza tra un tiranno e un principe è questa: che quest’ultimo obbedisce alla legge e governa il popolo secondo la volontà di colui di cui crede di essere ministro”. Il tiranno di contro agendo senza misura e per il piacere suo personale (evochi Epicuro) travalica i propri limiti e imponendo al popolo il suo dominio va contro la volontà di Dio, violando quella legge che la stessa sua natura di uomo figlio di Dio reclama. Infatti i veri principi “né mai dovrebbero ritenersi svantaggiati da ciò (dall’osservare la legge), a meno che non credano che gli statuti della loro giustizia siano da preferire alla giustizia di Dio, la cui giustizia è giustizia in sé, e la sua legge è equità” e quindi il principe è tale solo si fa “ministro dell’utilità pubblica, servitore dell’equità” e si mette “al servizio della legge quale immagine della maestà divina sulla terra”.
E di tanto avanzò, maestro, di contro al tiranno il tuo disprezzo che se mai il principe fuggendo dai suoi doveri dovesse trasformarsi in tiranno, tanto lo condannasti che, come ancora il tuo maestro Bernardo in quella sfortunata seconda crociata il “malicidio”, così tu giustificasti il “tirannicidio” assolvendo con fermezza e senza indugio pure la mano che lo avesse ucciso. Scrivevi, in verità, in quel diciottesimo capitolo del libro ottavo “se è sempre stato lecito adulare i tiranni, è sempre stato lecito raggirarli ed è sempre stato onorevole ucciderli, quando non vi fosse altro mezzo per tenerli a freno e non mi riferisco, qui, ai tiranni privati, ma a quelli che opprimono un intero stato: i privati, infatti, possono essere facilmente controllati attraverso le leggi, valide per tutti” ed ancora “secondo l’autorità della Pagina Divina, uccidere i tiranni è lecito e glorioso”. Un gesto quindi lecito et urgente che ti apparirà ancora più necessario quando “tiranneggiando” la tua amata terra britanna il secondo “vento” dei Plantageneti, in quella triste mattina del ventinove dicembre, mancavano due giorni alla fine dell’anno 1170, il tuo amato arcivescovo, come già il nostro apostolo Matteo, mentre, e tu c’eri, sull’altare officiava i sacri riti venne di contro aggredito e come in segreto si disse, pugnalato e ucciso, appunto dal “tiranno”. Ed a nulla valse la diplomazia e le tue tante lettere chè troppo la “mala condotta” che è” la cagione che ‘l mondo ha fatto reo” aveva disseminata e sparsa la zizzania e i cuori avvelenati. E fu tanto allora lo spavento ma anche la tua ostinazione, maestro, che una volta tornato in patria non mancasti tosto di pubblicare quella “Vita Thomae” che in onore del tuo arcivescovo aprire voleva e così fu la via perché martire il tuo Tommaso, venisse agli onori dell’altare elevato. E fu merito tuo, maestro, se poi diffondendosi rapidamente e non solo in Inghilterra ma anche in Francia il suo culto, non passarono che soli tre anni, che il terzo Alessandro in Roma lo dichiarò e lo fece santo. E tu, maestro, che di tutto questo fosti l’artefice ed alla chiesa sempre rimanesti fedele difendendola nei suoi principi e nei suoi dogmi, non passarono che ancora pochi anni, che lo stesso vescovo di Roma, che con il suo predecessore tuo compatriota, tu pure avevi conosciuto, di Chartres, sì della tua città di Chartres, maestro Giovanni, vescovo ti nominò. E tu obbedisti ed, in umiltà, continuando a servire la chiesa ancora una volta fosti chiamato per partecipare a quel Terzo Concilio Lateranense che, dopo anni di scontri vide sancire tra la “Lega lombarda” e il “primo vento di Soave” la pace e tu, maestro Giovanni, sebbene oramai vecchio e stanco, partisti lo stesso, era l’anno del Signore 1179 e quello fu il tuo ultimo viaggio. Non passarono che pochi mesi, quando, per la prima volta, maestro, mancando alle “lodi” del matutino venne di corsa dalla tua cella il tuo chierico piangendo.
Era il giorno di san Crispiano, pioveva e faceva freddo e tu nella notte eri tornato alla casa di Dio, era l’anno del Signore 1180. Avevi scritto, maestro, un giorno che “se qualcuno ama la verità, sia per voi un ospite graditissimo” e tu per me, per noi, maestro, lo sei stato, ospite graditissimo.
Ma ora mi corre l’obbligo del congedo e come già “il vento che soffia dove vuole”, anch’io, maestro devo andare, chè se alto, maestro, fu il tuo cammino solenne, molta a me della tua strada mi manca. Grazie, maestro Giovanni, e sia al mio tempo la tua fede ancora coraggio!
Questo il mio epigramma per te: Gloria del tuo libro facesti morto il tiranno e risorto chi al suo popolo non fa torto
C’è poi di Pietro Lombardo un altro epigramma: “Specchio il tuo consiglio venne d’ antico principe moderno a Machiavelli il piglio”.
Questo, maestro, nei giorni del giugno che si vanta e muore, l’amore, l’incanto ed il mio languore … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno di lunedì 23 giugno dell’anno del Signore 2025.