Il primo film visto in una sala cinematografica a Napoli, la mia città natale, fu “Il re dei re”.
Avevo solo sei anni. Seguii molto attentamente il film e ricordo che, alla scena della Crocifissione, scoppiai a piangere. Gesù, inchiodato in croce come re dei giudei, aveva sul capo una corona di spine. Era solo, abbandonato dai suoi seguaci, deriso e oltraggiato da sacerdoti e soldati, circondato da una folla che assisteva curiosa senza prendere posizione. Difficile riconoscere in lui un Re!
Oggi il passo del Vangelo proposto dalla liturgia nella festa solenne di Cristo Re, conclusione dell’anno liturgico C, ci conduce sul Calvario, nel momento culminante della Passione e morte di Gesù.

L’evangelista Luca, invitandoci a contemplare la regalità di Gesù, ribalta l’idea di regalità a cui siamo abituati.
Siamo infatti soliti associare a un re potenza, dominio, sfarzo, ricchezze, troni maestosi, corone impreziosite di diamanti e pietre rare, sudditi omaggianti.
La regalità di Gesù assume caratteristiche esclusive. Il suo Regno non ha come legge il potere ma il servizio verso i sudditi. È un Regno di amore, di verità che dona liberazione, giustizia e pace.
Gesù è un Re che non usa le armi, condanna la violenza e vuole conquistare il mondo solo con la sua misericordia.
È un Re povero, umile, un Re che ha lavato i piedi ai suoi discepoli, che ha perdonato i suoi carnefici, che non ha accettato di compiere gesti spettacolari per salvare sé stesso ma che, salito sul trono più insolito: la Croce, nel momento in cui sembra sconfitto, debole, ci libera dal peccato e ci dona la salvezza eterna.
Nel passo del Vangelo, accanto a Gesù crocifisso incontriamo due malfattori. Il primo vive con rabbia il momento della sua fine e si rivolge a Gesù esortandolo a salvare sé stesso e loro; il secondo, invece, comprende che accanto a lui, sulla croce, c’è un innocente, un vero Re e, riconoscendo le proprie colpe, non esita a implorare: «Ricordati di me».
In un atto di totale umiltà, in una richiesta di fede incredibile, si affida a Colui che appare come lo sconfitto, il massimo perdente.
Le parole che Gesù gli rivolge, «Oggi sarai con me in Paradiso», ci dimostrano che le porte del suo Regno sono aperte anche ai più grandi peccatori, purché si convertano, anche se solo nel momento della morte.
La salvezza è immediata per chi si apre alla grazia divina.
Ecco la speranza per tutti noi!
Santa domenica in famiglia.



