Questa Epistola ideata, stesa e verseggiata da Gaetano Ricco intende lodare un filosofo, Sigieri di Brabante, che non disdegnando Dio tenne per Averroè fede ad Aristotelei
epistola prima
Si vanti pure e gridi alto di Sigieri la magnifica terra di Brabante il nome!

A Sigieri (Terra di Brabante 1240 – Orvieto “terminus ante” 10 novembre 1284) figlio della terra di Brabante che non disdegnando Dio tenne fede ad Aristotele per Averroè … il mio saluto!
EPIGRAFE
Prefazione
Ma riguardo alla parte dell’anima con cui conosce e conosce la sapienza, ecc. In questo terzo libro sorgono quattro questioni riguardanti l’intelletto. La prima riguarda la differenza tra l’intelletto e le altre parti dell’anima, cioè quella sensitiva e quella vegetativa. La seconda riguarda l’intelletto in sé, cos’è. La terza riguarda l’intelletto in confronto ai corpi. La quarta riguarda le potenze dell’intelletto, cioè l’intelletto possibile e quello agente, in che modo differiscono tra loro e cosa sono.
(Sigieri di Brabante, “Quaestiones in tertium De anima” Biblioteca Augustana)
Ero per te, maestro Sigieri, che di Aristotele per Averroè fosti il figlio, a cercare da qualche giorno altro “incipit”, che, esulando dalla gloria di quei versi che il gran filosofo di Aquino levò in tua lode così cantando “questi onde a me ritorna il tuo riguardo / è ’l lume d’uno spirto che, ’n pensieri / gravi, a morir li parve venir tardo: / essa è la luce etterna di Sigieri, /che, leggendo nel Vico de li Strami, / silogizzò invidïosi veri”, inusualepotesse per altra via portarti a “seder tra la filosofica famiglia” ma sempre, come del poeta di Monterosso “Le rime”, mi tornavano di quel X canto del Paradiso quei versi. E per quanto io tentassi di “respingerli” sempre ci ammonisce il poeta, le “pinzochere ardono / di zelo e prima o poi (rime e vecchiarde) / bussano ancora e sono sempre quelle” ed è impossibile combatterle che esse “insistono e battono alla porta” e sono sempre lì. Per cui, causa la mia “minorità”, di uscir di tal “catena” e a nuovo di interrogare quell’alto “intelletto” che “unico et separato” tu dicevi, maestro Sigieri, appartenere “temporaneamente” a tutti gli uomini, desisto e mancando al mio genio le ali abbandono il “volo”, pago il mio fio e torno all’abusata via che pur da tempo battuta egualmente mi condurrà all’agognata meta.
Erano gli anni del secolo XIII, in cui sempre più in quel “opificio di sapienza” che fu la superba università della Sorbona di Parigi, circolando ed insistendo sempre di più i “commentari” arabi ed in particolare quello di colui “che ‘l gran commento feo”, cominciavano a fiorire le prime discussioni, o meglio, alla tua maniera, maestro Sigieri, le prime “quaestiones” sulla corretta esegesi del pensiero e dell’opera del gran “maestro di color che sanno”, che al tuo tempo, da tempo, era padrone. E osservando tu, maestro, alla luce del nuovo “Commento” che molti, leggi pure, lettore, con Alberto Magno il suo grande discepolo Tommaso, a commentarlo “furono manchevoli rispetto all’intenzione del Filosofo e non ne determinarono l’intento”, presto ti votasti a ben, rigorosamente, in giusta direzione a dare la tua interpretazione. Ed in spirito di umile cercatore aperto alla verità ti mettesti in cammino pronto a dichiarare quel che, secondo ragione, la filosofia e non la metafisica o la fede ti avrebbe dettato. E tanto fu aspro et duro il tuo cammino che non mancarono subito accesi spiriti a contestare il tuo aristotelico “sillogizzare” che pur correttamente nella “forma” procedendo si tradiva non solo nelle premesse ma anche nelle conclusioni e fu duro scontro. Ed anche se, con umiltà e spirito di vero cristiano, più volte, come leggeremo, provasti invano a distinguere ed a dichiarare che per essere della “fede” e della “ragione” gli ambiti operativi diversi e distinti, nessuna opposizione o contraddizione poteva insistere tra di loro. Perché, anzi, come già il tuo maestro Averroè quando vantando la teoria della “doppia verità” aveva affermato che sia la verità di fede che quella della ragione sono “contemporaneamente” entrambi valide, ognuna chiaramente nel suo proprio campo. Ma non bastò chè non poteva, in quel tuo tempo di accesi scontri “temporali” tra papi e re e imperatori, accettare la Chiesa quel tuo sottile “distinguo” che mettendo, e fu questo, maestro, Sigieri, il tuo peccato, sullo stesso trono con pari dignità la fede e la ragione avrebbe potuto compromettere la stessa “missione” della chiesa e l’avvento sulla terra dell’Anticristo. Troppo in parte c’era il potere della chiesa e così contro la tua “doppia verità” e contro di te tosto si scaglierà quel grande d’Aquino che opponendo resistenza ai tuoi scritti ti fece, come leggeremo, gran battaglia. Ed anche se pur lui di Aristotele figlio, diversamente da te, maestro Sigieri, che ritenevi distinte e quindi separate le verità di fede e di ragione, lui pensava che tra le due verità e tra fede e ragione potesse esserci conciliazione. E fu questo, quando affermando “sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i princìpi naturali della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità” il suo compito e la sua “filosofica missione”. E tanto il suo tentativo di conciliare Cristo con Aristotele crebbe, che presto la stessa Chiesa, come allora, ancora oggi, tutta l’accolse la sua dottrina nel suo seno e fu il “tomismo”. E per quanto, nel suo riconosciuto intellettualismo aristotelico, Tommaso tentasse con la filosofia di giurare i diritti della ragione pure in cielo con la teologia “in primis” fece sedere la fede, la sola che valendosi del “lume naturale della ragione” poteva salire a Dio. E fu così che, per quanto discepoli entrambi del maestro di “color che sanno”, in quella già citata università dove tu, maestro Sigieri, sulla cattedra delle “Arti” e lui su quella di filosofia e teologia, tosto vi trovaste, sulla antica “quaestio”, che fu già di altri, dell’intelletto che “attivo e passivo”, l’ uno astrae e l’altro intende, a combattere una dura battaglia. Tu, maestro Sigieri, a fedelmente seguire il “gran commento” che ne fece il “più grande filosofo arabo dell’Occidente” e lui, Tommaso, ad inseguire il suo sogno di conciliare Cristo con Aristotele. E fosti prima amici e poi nemici chè non l’intelletto o Aristotele vi divise, ma il gran “Commento” e, per la Chiesa, le sue pericolose conseguenze. Credeva, infatti, e tu, maestro Sigieri, in quelle tue “Quaestiones in tertium de anima” rispondendo nella “Nona Quaestio” alla domanda “se vi sia un solo intelletto in tutti, cioè se vi sia un solo intelletto in tutti, non numerato secondo il numero degli uomini, oppure se vi sia un intelletto moltiplicato e numerato secondo il numero degli uomini” lo confermasti scrivendo che “vi sia un solo intelletto in tutti sembra evidente, perchè nessuna forma immateriale, una nella specie, si moltiplica secondo il numero” in tuttoconcordavi che “l’intelletto, essendo immateriale, non ha nella sua natura la moltiplicazione secondo il numero ed uno” dall’uomo separato. Nella visione, infatti, del filosofo di Cordova l’uomo non era altro che un mero corpo passivo in cui temporaneamente agendo un “intelletto” lo avrebbe poi dopo la morte abbandonato, per tornare a vivere, lui, l’intelletto, immortale ed anonimo, nel suo spazio iperuranico. L’intelletto “mediante il quale siamo nati per conoscere la verità, senza errori” apparteneva infatti a Dio ed era “uno” edall’uomo “separato” solo temporaneamente a lui assegnato in un corpo che pur possedendo un’anima, che in realtà, pur non mai negando la sua immortalità, tu, maestro Sigieri, come già il tuo Commentatore, leggevi più vicina a quella antica teoria dell’“entelechia” di Aristotele, che agendo dalla “potenza” all’”atto” portava ogni corpo organico, che dentro aveva iscritto il suo fine a compimento e che, assolto il compito, muore, come ogni corpo mortale che di parti è costituito, e si dissolve. Una visione ed un concetto dell’anima e dell’intelletto che veicolato e fatto accettare avrebbe potuto minare con la religione e i suoi principi le stesse fondamenta della Chiesa, che sulla resurrezione della carne fonda la sua missione. Troppo e gravi prima con l’intelletto “uno e separato” poi quell’anima mortale ed ancora quel mondo che di contro al creazionismo della Chiesa, tu credevi eterno e non creato, perché la Chiesa, con i suoi filosofi e teologi, potesse tacere. E fu così che su quel movimento, che nome ebbe “averroismo latino”, e di cui, tu, maestro Sigieri, fosti il primo, si abbattè del vescovo prima l’anatema e poi la condanna. Furono, infatti, già nell’anno 1270, prima anatemizzate alcune tue tesi ma poi poiché cresceva, maestro, e sempre più si spandeva il tuo pensiero ed inutile sembrava la battaglia di Tommaso che con la sua opera “De unitate intellectus contra averroistas” aveva, sempre per Aristotele, confutato le tue idee, affermando che la sua “confutazione dell’errore non si baserà su documenti di fede, ma di ragione, e sulle asserzioni dei filosofi” aggiungendo che “se poi c’è qualcuno che, orgogliosamente presuntuoso nella sua presunta scienza, vuole contestare ciò che è stato scritto, non lo faccia in un angolo o davanti ai bambini, ma piuttosto risponda pubblicamente, se ne ha il coraggio”, lui Tommaso, il “bue muto”, si sarebbe reso disponibile anche per un pubblico confronto o meglio, come al tuo tempo si diceva, ad una pubblica “disputatio” Era, infatti, costume usuale al tuo tempo, maestro, di tenere pubbliche dispute su “quaestiones” più diverse, tra le tante rimane forse la più famosa quella sull’Immacolata Concezione di Maria vinta dal “Dottor Sottile”, i cui “sottili” argomenti convincendo del papa il legato, alla Chiesa, qualche secolo dopo, consegnò il suo dogma. E chissà, come alcune cronache del tuo tempo fanno intendere, se non ci fu davvero questa pubblica disputa e forse, mirabile a dirsi, da te, maestro Sigieri, fu vinta. Se ancora, come resta scritto, dopo tre anni dalla morte di Tommaso, dovette di nuovo il vescovo di Parigi intervenire ed impugnando la spada dell’inquisizione formalmente, con un editto emesso nell’anno 1277, condannare con il tuo movimento te e lo stesso Tommaso. Duecentodiciannove furono le tesi contestate e condannate particolarmente l’idea dell’eternità del mondo, dell’intelletto uno et dall’uomo separato e di quell’anima che altrimenti mortale, avrebbe distrutto la chiesa. E fu tanta la condanna e dura che se per Tommaso, nonostante la sua veneranda età, non esitò il suo antico maestro Alberto Magno a personalmente recarsi a Parigi per difenderlo, nessuno per te, maestro Sigieri, si mosse ed a nulla valse il tuo appello alla “doppia verità” ed ad ammettere che l’anima nella fede potevasi credere immortale, chè troppo era contro di te, anche da altri “maestri invidiosi” l’odiosollevato. E così confidando che Altri più in alto del “chiuso” vescovo di Parigi potesse darti ascolto e comprendendo scioglierti dall’anatema e assolto e perdonato potesse nuovamente accoglierti nel seno della chiesa dal quale così crudelmente eri stato scacciato. E fu così che costretto a scappare, venisti in Italia alla Città Vecchia dove temporaneamente soggiornava il papa. Quel papa francese che a sentire del divino Poeta questi versi “e quella faccia/ di là da lui più che l’altre trapunta / ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: /dal Torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia” sembrava molto più occupato a pescar anguille e a bere vino che dei problemi della chiesa a preoccuparsi, tanto, ed è storia del papato, che la sua colpevole negligenza mandò in rovina anche quella tenue, temporanea unione tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, che i suoi predecessori con tanta fatica avevano raggiunto. Un papa, che fattosi imbelle suddito di quel Carlo e ci soccorre ancora il divino Poeta che “venne in Italia e, per ammenda/ vittima fè Corradino e poi / ripinse al cielo Tommaso, per ammenda” lasciando chiaramente capire che fu lui colui che “spedì al Creatore l’anima” di Tommaso, che sappiamo dalle fonti, più volte si oppose ed osteggiò la sua politica di feroce espansione, più preoccupato più della sua pancia non mai ti ricevette. Ed a nulla valsero, maestro Sigieri, le tue suppliche e le tue preghiere chè ignorato dal papa e da tutti abbandonato fosti addirittura imprigionato e, come riporta la “Cronaca di Martino di Troppau” , non passò che poco tempo (post parvum tempus) che, era l’anno 1284, da un chierico (a clerico suo quasi dementi) messo al tuo servizio impazzito, fosti (perfossus periit) da lui pugnalato ed ucciso. Finiva così nel sangue, maestro Sigieri, la tua vita, tutta alla ricerca della verità costretta e votata, ma come già ad un tal altro Grande accadde, venne dal cielo una mano “pietosa” e come già “quel tal Sandro” anche ildivino Poeta, ti avviò “per i floridi sentieri della speranza” verso quel Paradiso celeste, dove avanzando del vescovo di Parigi tutte le sue accuse, insieme agli altri spiriti “sapienti” nel cielo del Sole, tra i grandi, ti trovò loco. E non fu un caso, chè troppo del tuo primo filosofo piaceva al divin poeta il suo universo, per cui non mancando di affidare il tuo elogio proprio a chi in vita ti aveva tanto osteggiato, scava al mondo e lascia di te, maestro, una traccia così profonda che mai nessuno potrà mai cancellare. Un segno alto di rispetto e di grande amore per la ricerca di quella verità che non abitando dentro di noi ci viene resa dalla ragione dall’esperienza. E se, come ebbero ad accusarti i tuoi detrattori, alla tua ricerca mancò Dio, attestandosi la ragione sul trono e la fede altrove, pure di Dio ti toccò il mistero. E se ancora fioriscono sul tuo nome polemiche, valga per tutti ancora una volta il canto di Colui che tra i più grandi per Bernardo in Paradiso vide Dio e che, come piacque al poeta di Certaldo di credere in quel viaggio, venendo a Parigi, in quel famoso “Vico del li Strami”, forse ti vide e ti onorò, lasciando di te, maestro Sigieri, al mondo “un premio ch’era follia sperar” e che ancora tiene e comanda ai secoli a venire alto il tuo nome!
Grazie ancora, maestro Sigieri, per le tue opere e per quella tua “sete natural che mai non sazia” chi conoscenza vera arde!
Questo il mio epigramma per te: “Bussò alla tua porta e ti portò il suo Commento e di lui in Occidente fosti vento suo più potente”.
C’è poi di Pietro Lombardo un altro epigramma: “Nel ciel sapiente sei del Sole tra Boezio e più fulgori, Pietro Lombardo, Beda e Salomone”
Questo, maestro, nei giorni del giugno in ritardo, l’amore mio vegliardo, lo sguardo ed il mio azzardo … il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno di San Roberto di Newminster dell’anno del Signore 2025.
P.S.
Questo, Maestro, il mio Epitaffio per te:
Sigerius Brabantinus



