8 novembre 2025.
In un giorno d’autunno Enza Marandino ha smesso di vivere. Lo ha fatto consapevolmente, perché non poteva non sapere che quella “vita non vita” che era stata costretta a stiracchiare da troppo tempo non poteva essere la sua.
Già da tempo aveva abdicato alla voglia di futuro.

Era accaduto quando il “mostro” aveva falciato la vita di Giovanna, sua figlia, dopo aver percorso un lungo “calvario” tra speranze e disperazione. Le stesse strade che anche Enza ha dovuto ripercorrere, quasi a voler “pagare con la stessa moneta” l’impotenza di non essere riuscita a fare nulla per trattenerla in vita e continuare a prendersi cura del fiore più bello che Giovanna aveva messo al mondo: Zoe.
In un lampo tornano alla mente il suo sorriso, raro ma sincero; il suo sguardo interrogante; il suo modo di tenere a distanza ma con rispetto; il suo parlare senza troppi aggettivi; lo scrupolo professionale; l’essere moglie senza riserve; l’attenzione gentile per capire a fondo; l’amore di nonna consapevole; il voler bene di moglie e madre.
Tutto il suo incommensurabile vissuto di mamma.
Mi sono confrontato con Enza prima come collega, poi come amico. Infine, da “estraneo” al suo dolore di madre e di donna aggredita dal morbo del destino.
Gina, mia moglie, ha avuto più coraggio di me nell’andare da lei, già piegata in due dal crudele destino, per manifestarle l’affetto di un’amica. È stata lei a tenermi informato dell’involuzione della sua esistenza fino al capolinea.

Ora Enza continuerà a essere presente nei pensieri di chi resta in questo mondo a tentare di continuare a vivere occupandosi delle persone e delle cose che amava.
Saranno Angelo, il marito; Enrico, il figlio; Zoe, la nipote; Andrea, il genero; Pina e Lina, le sue sorelle; e i tanti amici che hanno avuto il privilegio di condividere con lei momenti belli e autentici.
A loro tutti Enza avrà affidato i suoi ricordi, nell’ultimo tempo vissuto attraversando la “valle di lacrime” che è diventata gradualmente il piano inclinato che l’ha portata nel tempo senza tempo, dove – speriamo – si è ricongiunta a Giovanna.
Insieme, madre e figlia, sapranno farsi compagnia e si predisporranno ad accompagnare il cammino dei loro cari che ancora dovranno avanzare in questa valle di lacrime.
La via sarà più impervia, perché mancherà la sua viva intelligenza e la naturale predisposizione a fare bene.
A chi, come me, le è stato collega e poi amico, non resta che l’amara tristezza di non aver saputo esserle di aiuto – né dopo la perdita di Giovanna, né durante la devastante malattia.
Ad Angelo, Enrico e alla piccola Zoe, posso solo dire grazie: per esserle stati accanto fino all’ultimo respiro.



