Le elezioni regionali, puntualmente, promettono soluzioni “di sistema” ai problemi dei cittadini. Poi, a urne chiuse, resta il silenzio. La Campania, seconda regione d’Italia per abitanti, continua a convivere con le stesse fragilità di sempre.
Sul nostro territorio non sono mancati i candidati pronti a promettere cambiamenti. Alla fine, i numeri raccontano una verità semplice: solo in pochi arrivano nelle stanze del potere e ancora meno riescono davvero a incidere.

Nel collegio di Salerno ne sono usciti due nomi: Corrado Matera e Mimmo Minella. Gli altri due, pur forti di migliaia di voti – Tommaso Pellegrino e Michele Cammarano – sono rimasti fuori dal Consiglio. Dovranno, se ne avranno la possibilità, esercitare un’influenza indiretta, lontano dalle aule dove si decidono davvero le cose.
Il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni è da anni il simbolo di un fallimento mascherato da eccellenza.
Un territorio ricco di risorse naturali e culturali, ma povero di visione, abbandonato a uno spopolamento lento ma inesorabile, con servizi che arretrano e giovani che fuggono.
In trent’anni sono arrivati finanziamenti milionari. Sono stati spesi. Ma i risultati non si vedono: né economia vera, né servizi stabili, né prospettive di futuro. Solo progetti a scadenza, convegni, targhe, brochure.
Nel frattempo, la costa è stata divorata da una corsa miope alle seconde case: cemento per pochi mesi l’anno, paesi interni svuotati, case che non valgono più nulla e comunità che si sfaldano.
Il neo presidente Roberto Fico ha parlato di aree interne. Bene. Era inevitabile. Ma le dichiarazioni non bastano più. Le aree interne non hanno bisogno di compassione, hanno bisogno di scelte politiche vere.
La verità è che, in trent’anni di vita del Parco, nessuno ha avuto il coraggio di rompere il circolo vizioso. Le montagne sono rimaste buone solo per le cartoline, i borghi utili solo per i weekend e i convegni.

Ora la responsabilità politica è chiara. Matera e Minella non possono limitarsi alla rappresentanza simbolica. Devono diventare voce fastidiosa, insistente, scomoda. Devono costringere la Regione a occuparsi non solo delle aree metropolitane, ma anche delle periferie dell’anima: le aree interne.
Segnali positivi? Sì, esistono. La Conferenza Episcopale Italiana se ne occupa. L’UNCEM ha prodotto rapporti seri. In alcune zone d’Italia lo spopolamento si è fermato. Ma la Campania è indietro.
Qui il tempo non è una risorsa: è il problema.
Se non si interviene ora, il Parco resterà soltanto un marchio, un confine sulle mappe, una narrazione vuota.
E i paesi interni diventeranno definitivamente luoghi senza futuro.
Servono scelte scomode. Subito.



