Epistola storica e riflessione filosofica di Gaetano Ricco
Prologo
Questa epistola, ideata, stesa e verseggiata da Gaetano Ricco, intende lodare un filosofo che, affermando che soli gli individui sono reali, degli universali fece “scatola vuota”.
È un dialogo ideale con Roscellino di Compiègne (Compiegne, 1050 – Besançon, 1120), il pensatore che, nella Scuola di Atene del medioevo, difese con coraggio il nominalismo e aprì un cammino che avrebbe influito sul pensiero medievale e moderno.

Alla magnifica città di Compiègne e al suo figlio Roscellino
Scriveva “quel tal Sandro” nell’introdurre quel suo “romanzetto ove si tratta di Promessi Sposi”, che molto spesso accade che “gl’illustri Campioni che in tal Arringo (della storia) fanno messe di Palme e d’Allori, rapiscono solo che le sole spoglie più sfarzose e brillanti imbalsamando co’ loro Inchiostri le Imprese de Prencipi e Potentati e qualificati Personaggi, e trapontando coll’ago finissimo dell’ingegno d’oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose” tralascino la memoria di coloro che non furono né “principi e potentati, e qualificati personaggi”, nel nostro caso, della filosofia e ne fanno mucchio solo “nominale” in movimenti o correnti, tanto che, fatta vittima di questi “illustri campioni”, pur “hauendo hauuto notitia” io di te, maestro Roscellino, tralasciai, ed avanzando allo studio dei più “illustri” (ma quanto veramente!) mi incamminai per quella strada che di te taceva. Ma oggi che avanzando sempre più inesorabilmente alla meta dei miei anni quelle che allora furono le tue “ quaestiones” son diventate la mia più preziosa cura ed il tuo tempo, maestro, da troppo tempo ormai è diventata la mia patria, mi accorgo, pur nelle poche linee che di te rimangono, che non potevo non bussare alla tua porta e chiederti, fu anche il tuo mestiere, maestro Roscellino, perdono per il troppo tempo che mi hai atteso aspettando appoggiato a quel tuo “nominalismo” che fu dei tuoi “universali” la colonna e che passando per il “concettualismo nominale” del tuo “focoso” allievo nel “terminismo” di quel “rasoio” che continuando, nella sua patria inglese, sfocerà nell’”empirismo” di quell’epoca moderna il vanto suo più grande, e fu tua, maestro, la sua gloria primitiva.
Perciò, oltre il perdono, assistimi e allarga, maestro, avanti a me la tua via, assicura i miei passi al tuo bastone e fa che avanzando dalla tua sapienza riparato possa, come già il poeta, questa mia “Epistola” giungerti“leggera e piana”.
E detto e premesso che quasi tutto di te si è perduto, ad eccezione di quella famosa “Epistola ad Abelardo”, l’allievo che di tanto ti “offese” e che quindi tutto quello che sappiamo di te lo dobbiamo quasi esclusivamente alle testimonianze dei tuoi avversari, che, per costume, per meglio armare il proprio pensiero spesso non sfuggono a possibili strumentalizzazioni, dò, maestro Roscellino, alla mia “Epistola” cominciamento.
Eri della “schola” cattedrale di Loches e di Tours poi il “magister in sacra pagina” il più famoso e tanta correva la tua fama che da tutta la Francia, maestro Roscellino, accorrevano frotte di studenti, tra questi colui che, pur ricordandoti nei suoi scritti come il suo primo maestro di dialettica, più di ogni altro contro di te con le sue furiose accuse si scagliò ricevendone tu dolore tanto e lui vanto e gloria. Era nota, infatti, su quella che fu del tuo tempo la più famosa “quaestio”, la tua posizione sugli “universali”, che contrastando di contro a coloro che sostenevano che essi fossero delle vere e proprio “realtà” esistenti non solo nella mente di Dio (ante rem), nelle cose (in re) ma anche nella mente dell’uomo (post rem), tu, maestro, li ritenevi di contro fossero solo parole astratte alle quali nella realtà non corrisponde nulla e nessuna cosa e che reali di contro fossero solo le cose, le sostanze e dunque gli individui particolari. Socrate, affermavi, nella sua specificità è reale ed esistente e la parola (gli universali) “animale” comequella di “uomo”, l’uno ad indicare il “genere” l’altra la “specie” non designano nulla di reale e pertanto concludevi che altro non fossero gli “universali” che spostamenti di aria ovvero semplici emissioni di fiato, dei “flatus vocis”. Una concezione molto radicale e che, come certo autore delle “Le Gesta” del nonno del grande Federico II scrisse, quando ricordando il tuo allievo Abelardo che“si dedicò fin dalla fanciullezza allo studio delle lettere ed altre piacevolezze”, di te, maestro, afferma“tuttavia ebbe dapprima come maestro un certo Roscellino, che per primo ai nostri tempi sostenne in logica la tesi delle “voci”, di certo professasti con molta difficoltà in particolare perché tosto subito dal tuo “ambizioso” allievo contestata. Scrive, infatti, il Nostro di Frisinga, confermando, che sostenendo “il maestro Roscellino una tesi così insensata da ritenere che nessuna cosa fosse costituita da parti” il suo allievo Abelardo che si mostrava a tutti “di inestimabile acutezza, di inaudita memoria e di sovraumana capacità, essendo per un certo tempo allievo del maestro Roscellino, cominciò ad ascoltarlo con una certa mancanza di concentrazione” fino a quando distaccatosene completamente, abbandonò la scuola ed il tuo magistero se ne andò. E poiché, come ebbe a scrivere un suo amico “né la di stanza, né l’altezza dei monti, né la profondità delle valli, né le difficoltà del viaggio per strade irte di pericoli e infestate di briganti, potevano trattenere i tuoi discepoli dall’accorrere a te” cominciò anche lui pubblicamente a insegnare. E, come lui stesso nella sua “Lettera consolatoria ad un suo amico” testimoni: “fidando nelle mie capacità intellettive, più di quanto consentisse l’età, poco più ragazzo aspirai a reggere una scuola e mi procurai un luogo ove farlo, a Melun, borgo allora insigne e sede regia”, decise di fondare una sua scuola. E scagliandosi contro di te per “una lettera” come avesti, maestro Roscellino, tu stesso a rispondergli “straripante di critiche, fetida delle immondizie contenute, dipingendo la tua persona come fosse coperta di macchie d’infamia come le macchie scolorite della lebbra” ti attaccòed opponendo al tuo “nominalismo” il suo “concettualismo” ti accusò, per le implicazioni ontologiche e teologiche ne seguivano, di negare della Trinità il dogma della sua “unità” rischiando, come poi accadrà l’accusa di eresia. Perchè è vero, maestro, che tu affermavi che reali erano solo gli individui e che gli universali non erano altro che vuote conche senza pesci, ma tu tenevi e facevi distinguo tra le implicazioni “ontologiche” della teologia e quelle di contro “logiche” della “dialettica” e aggiungendo che l’indagine teologica riguardante la natura del divino avrebbe dovuto rimanere campo esclusivo non della dialettica ma dell’“auctoritas” delle Sacre Scritture e dei Padri della chiesa. Non convinsero le precisazioni ne piacque il tuo “nominalismo” nel il tuo logico ragionamento ed in quel concilio di cui diremo, venisti di “Triteismo” accusato. Era il “Triteismo” una antica eresia già condannata dalla Chiesa che venendo dall’oriente credeva distinte e diverse le tre persone della trinità con la conseguenza di negarne l’unità. E la Chiesa che già in quel lontano primo concilio ecumenico che il primo grande imperatore cristiano aveva convocato, aveva fissato i suoi precetti ed i suoi dogmi, quando apprese che “il chierico Roscellino afferma che in Dio le tre persone esistono separatamente le une dalle altre, come fossero tre angeli, in modo però che la loro volontà e la loro potenza siano unite e che il Padre e lo Spirito Santo siano incarnati; si potrebbe così dire veramente che vi sono tre dei, se fosse permesso un tale modo di dire” non ebbe remore. E quando colui che di Canterbury diventerà l’arcivescovo, come lui stesso in quella sua famosa Epistola dal titolo “De Incarnatione Verbi” scrive, venne a sapere che “quand’ero ancora nel monastero del Bec, da un chierico di Francia fu avanzata questa affermazione: “Se in Dio, disse, le tre persone sono una cosa sola, e non sono tre realtà ciascuna presa separatamente… allora insieme con il Figlio si è incarnato [anche]il Padre e lo Spirito Santo” mosso da spirito devozionale verso la Chiesa e la Trinità, subito si mosse a cercare chi questo affermava e venuto a te senza alcuna esitazione di eresia triteista ti accusò. Ed a nulla valsero le tue difese che la “dialettica” non è teologia né, come tu scrivesti, che mai “avevi difeso un tuo errore o quello di un altro; al contrario, è fuor di dubbio, affermavi, “che non sono mai stato eretico” ma sempre lasciando a Dio di contro ed al cielo il suo mistero, sempre ti professasti credente e cristiano. Ma al “doctor magnificus” che alla fede sulla ragione assegnava il primato (crede ut intelligas), non si convinse e non credendoti ti rimproverò di essere incapace di liberare la ragione dai sensi, perché, aggiungeva “nelle loro( la tua maestro Roscellino) anime la ragione che dovrebbe essere la parte dominante e giudicatrice di tutto ciò che è nell’uomo, è talmente immersa nelle immaginazioni corporee che non sanno liberala da esse, e rimangono incapaci di discernerla mentre essa sola dovrebbe servirsi nella speculazione”. Ed a quella schiera che egli chiamavai “dialettici eretici”, ossia di coloroche “le sostanze universali credono non siano altro che un fiato di voci” senza nessun dubbio ti assegnò irrobustendo contro di te l’accusa. Perchè continuava “chi non capisce neppure in che modo più uomini costituiscono l’unica specie dell’uomo, come potrebbe comprendere in che modo, nella misteriosissima natura divina, più persone, di cui ciascuna è un Dio perfetto, costituiscano un unico Dio? Per cui alta l’accusa e con la Chiesa in guardia dei suoi tanti “movimenti” tosto su di te si abbattè dell’arcivescovo la mannaia ed accusato, come abbiamo ricordato, fosti prima processato e poi condannato, insieme ai tuoi libri ad essere bruciato. Ti sarebbe piaciuto, maestro Roscellino, sulle orme di quel lontano monaco irlandese chenulla sottraendo alla fede l’aveva ben dalla ragione tenuta distinta, perché tu avresti voluto solo prima capire e poi credere (intelligo ut credam) ma nulla valse e poichè non fu il tuo tempo il nostro, con il rogo incombente abiurasti, ma non bastò che assalito dalla folla inferocita fosti costretto a fuggire e fu la fuga con l’esilio per l’Europa peregrinando a salvarti la vita. Finchè in compagnia della tua fedele “donna degna di molta riverenza in vista” non venne poi il giorno che ricevuto in Roma dal “capo del mondo”, come tu stesso scrivesti, non solo venisti dalla Chiesa non solo perdonato ma anche ascoltato. Scrivevi, infatti, in quella lettera che di te è l’unico scritto che ci è rimasto, ripagandolo della stessa moneta ed in fierezza del perdono papale “poiché hai profferito, nel tuo immondo spirito, come vomitando le tue parole contro di me, che io ero infame e condannato nel concilio, io proverò che ciò è falso con la testimonianza di quelle chiese nelle quali e sotto le quali sono nato, sono stato allevato e istruito e…come può essere che tu abbia detto che io sono stato cacciato dal mondo intero, mentre Roma, il capo del mondo, mi riceve volentieri, m’ascolta ancor più volentieri e, dopo avermi ascoltato, segue molto volentieri i miei giudizi… ma tu ti sei saziato come un maiale nelle immondizie e nella merda della mia diffamazione”. Parole violente et durissime che mai avresti voluto pronunciare ma questo fu il livello ed a questo ti condusse il tuo allievo, chè allora la risposta ne valeva la vita e così dopo avergli ricordato il suo squallido “crimine” ossia che “un chierico parigino di nome Fulberto … ti ha affidato l’istruzione della nipote, una ragazza molto saggia e particolarmente dotata. Ma tu hai dimenticato, tu non hai risparmiato la vergine che ti aveva affidato” tanto che il “Dio di vendetta… a buon diritto ti ha tagliato la coda” tu, maestro Roscellino, cinicamente alludendo alla sua amputazione, et inneggiando ai suoi “universali”, così, con sprezzo, continuavi deridendolo “i nomi propri perdono di senso se succede loro di allontanarsi dalla perfezione. Una casa senza tetto e muri sarà chiamata casa incompiuta. La parte che rende uomo t’è stata tolta: non ti si può più chiamare Pietro, ma solo Pietro l’incompiuto” ed ammonendolo a fare “attenzione” che come già la coda “non ti venga egualmente strappata la lingua”. E sdegnosamente con disprezzo scagliando il tuo ultimo velenoso dardo e così lo schernivi “il disonore d’essere incompiuto t’è valso il sigillo con cui chiudi le tue fetide lettere…avevo deciso di dire ancora contro di te molte cose oltraggiose, ma anche vere e chiare; ma avendo a che fare con un uomo incompiuto, lascerò incompiuta l’opera che avevo iniziato”. So, maestro, e mai avresti voluto, chè quella lettera nata nella pace e nella quiete di quel ritiro operoso di quel convento che in terra di Aquitania accolse i tuoi ultimi anni, mai avresti voluto scriverla ed ancor di più mai avresti così a quella “lettera straripante di accuse” colma di “fetida immondizia”, “violentemente” voluto ribattere, tanto era allora oramai il tuo cuore lontano da quel concilio e da quegli anni, e mai di contro quell’allievo che ti chiamò il suo “primo maestro” e che forse un tempo amasti, avresti voluto replicare ma, presago i tuoi libri bruciati e la tua memoria cancellata, urgeva, come già in quel monastero di Melk, di lasciare memoria “vera” di quelli che furono gli “eventi mirabili e tremendi” che con il tuo pensiero travagliarono la tua vita.
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di San Giorgio di Mitilene dell’anno del Signore 2025.
Epigrammi
Gaetano Ricco: “Fu il tuo Dio in tre diviso ché reali furono le persone non dell’essenza unica la potenza.”
Pietro Lombardo: “Condannato a San Martino abiurò alla sua dottrina, l’amico Roscellino degli universali nemico.”
Chiusura
L’epistola si conclude nel segno della primavera, della resurrezione e della memoria: un fiore in onore del maestro nominalista, chiusa il giorno di San Giorgio di Mitilene, anno del Signore 2025.



