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    La Scvola di Atene

    Si vanti pure e gridi alto di Averroè la magnifica città di Cordova il nome!

    Di Gaetano Ricco19 Gennaio 202313 Min Lettura1 VisiteNessun commento
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    EPIGRAFE

    Come abbiamo detto, non dubitiamo che gli esistenti interagiscano l’uno con l’altro, e che in sé non siano sufficienti ad agire, ma necessitino di un agente esterno il cui atto è condizione del loro atto, anzi non solo del loro atto ma della loro stessa esistenza. Tuttavia, riguardo alla sostanza di questo agente o di questi agenti, i sapienti talora divergono, talora concordano. Concordano tutti che il Primo Agente è immateriale e che il suo atto è condizione dell’esistenza degli esistenti e dei loro atti, e che l’atto dell’agente affetta gli esistenti grazie all’intermediazione di un (esistente) intelligibile diverso da essi. Alcuni (filosofi) ne fanno esclusivamente la sfera celeste, laddove altri presuppongono, oltre la sfera, un altro esistente immateriale che chiamano “datore di forme”. Non è questo, comunque, il luogo per investigare simili teorie, anche se il punto più elevato delle analisi filosofiche consiste proprio in quanto si è detto. Se sei uno di coloro che ricercano la vera realtà delle cose, segui la via che ti abbiamo indicato!

                                            (Averroè, “La distruzione della distruzione dei filosofi”)

     

    Ed anche per te, maestro Averroè, figlio della città di Cordova, che pur coltivando una sola verità il volgo ti fece doppio, canterò il mio canto … e come di “campar” di quel “loco selvaggio” a quel Grande “di tenere altro viaggio”, convenne, così farò io e lasciando il “sudato scriptorium” d’occidente che nella “vexata quaestio” mi tiene da tempo, tra “l’intelletto attivo e passivo”, combattuto, pure verrò, maestro, alla tua parte e come già quel tal “cieco d’Argentina” che, in quella tua “fresca e spaziosa casa”di Cordova,maestro, dove l’Andalusia si ciba del suo placido Guadalquivir ed “il meriggio risuona del roco tubare di amorose colombe e da un patìo invisibile si leva il suono di una fontana” tenne il suo “sogno” impossibile, anch’io tenterò il mio. E se per il muro che cinge ed osta alto la mia poca “logica”, l’impresa mi parrà troppo ardua, pure per te, maestro, fiore prezioso sbocciato nel giardino rigoglioso della scienza araba e mussulmana e gran cadì alla corte del sultano Almansur, che tenendo del “maestro di color che sanno” “il gran commento” all’Occidente, con tuo “ipse dixit” , consegnasti “la regola e il modello che la natura ci ha fornito all’umanità per svelare la massima perfezionee”, tenterò il mio canto. E sarà un canto solenne eppure malinconico, per te, maestro Averroè, che fatto araba corona araba di tutto l’Occidente cristiano nella tua patria mussulmana fosti perseguitato, se poi, come leggeremo più avante, accusato contro l’Islam di promuovere la scienza dei Greci, prima in Elisana e poi fuori dalla tua amata terra andalusa in terra d’Africa il tuo califfo ti chiuse invano sognando la tua patria lontana, chè … tanto, maestro, e sempre s’addice a chi grande fra gli uomini si fa del proprio destino artefice!

    E tu artefice e grande lo fosti davvero, maestro Averroè,  se poi rispondendo a quel tal grande teologo che ritenendo superiore ad ogni filosofia e religione la religione islamica, liberando il mondo dalla “necessità” del tuo“maestro secondo” ,che prima di te in quella scuola di Bagdad aveva letto, tradotto e commentato le opere di colui che nella “Scuola di Atene”, dove tu, maestro, sei intento a leggere sul libro di colui che al mondo diede alla “filosofia” il titolo, la sua “Etica” regge, lo diceva di contro“creato” dalla libera iniziativa di Dio e quindi nè eterno né necessario, tu, come il tuo “maestro secondo” ritenendolo di contro “necessario ed eterno”, diretta “emanazione necessaria della scienza divina” che lo regge e lo governa “secondo un ordine necessario ed infallibile”, così energicamente lo contestasti rispondendo “perciò chi nega le cause nega l’intellezione. Logica vuole che esistano cause ed effetti, e la conoscenza degli effetti può perfezionarsi solo attraverso la conoscenza delle cause. Sopprimere queste cose implica negare la conoscenza e la negazione della conoscenza implica che nulla in questo mondo può venire davvero conosciuto secondo una scienza autentica, anzi che si danno solo supposizioni; non esisterebbero né prove né definizioni e si distruggerebbero quegli elementi cognitivi essenziali che compongono le dimostrazioni. Chi ritenesse che non vi è scienza necessaria, dovrebbe ammettere che la sua stessa affermazione non è necessaria … ma Dio Potente ed Eccelso dice: “l’abitudine di Dio troverai che non muta, e troverai che l’abitudine di Dio non si cambia” riaffermando, maestro Averroè, che “Dio è causa in virtù della sua stessa scienza: e ciò di cui è causa, il mondo, segue necessariamente dall’essenza divina” e come tutto ciò che dalla semplice “possibilità” passa all’”atto” deve anche il mondo avere necessariamente una “causa” e non può essere “nato” da un atto arbitrario e creativo di Dio, il quale richiamando indirettamente un “mutamento” nella stessa essenza di Dio, decisamente contrasta con l’”unicità” ( Plotino) di un Dio in cui “non c’è né desiderio né bisogno né intenzione” ma solo il suo “essere necessario” che per passare dal possibile all’atto non ha bisogno di altro che della sua stessa “azione”. Altrettanto il mondo che, come lo fu già per il tuo primo maestro che tra la “filosofica famiglia” siede sarà per te, maestro, eterno e senza inizio (sant’Agostino) e governato dalla “Provvidenza” che seguendo la scienza divina, che intende solo la totalità di se stesso, disdegna le cose particolari del mondo e scrivi,maestro, che “ciò che è puramente individuale o casuale, ciò che non rientra nell’ordine  necessario del tutto,sfugge alla Provvidenza ,cos’ alla scienza di Dio” e questo continuavi, maestro, non è imperfezione,“giacchè non è un difetto non conoscere in modo imperfetto, ciò che si conosce in modo molto più compiuto” lasciando, se pur in una sorta di determinismo, la nostra volontà di liberamente agire alla ricerca di quella “verità”  che tu, maestro, studiare, indagare, conoscere consideravi il dono più prezioso ed alto che un uomo poteva rendere al suo Dio, chè non santi con la fede a Dio rivolti la rendevano la preghiera più alta ma i “filosofi” con la ragione indagando e interrogando: “siamo stati a lungo ospiti della creazione e io credo che lo siamo ancora. Al nostro ospite dobbiamo la cortesia del domandare”. 

    E la verità è una sola, chè mai all’unità si addice la molteplicità, anche se due e mai in antagonismo, sono le vie per perseguirla. Una quella della religione che, come Allah al suo servo Maometto, consegna per la sua forma “semplice e narrativa” al credente la verità e lo fa fedele, e l’altra quella della filosofia che “approfondendo con lo studio tutto ciò che è, scrivevi, maestro, non potrebbe rendere a Dio un culto migliore di quello che consiste nel conoscere le sue opere  e conduce a conoscere lui stesso in tutta la sua realtà” ma  per essere “come alcuni cibi sono alimenti per certi animali e veleno per altri, irta di ragionamenti e tante dimostrazioni  questa via non poteva però appartenere al volgo e la religione della filosofia non può essere di tutti. Scrive nel suo saggio“Il cristianesimo e la filosofia medioevale” il nostro maestro salernitano “alla filosofia spetta il mondo della speculazione, alla religione il mondo dell’azione. Chi negasse o anche solo dubitasse dei principi posti dalla tradizione religiosa renderebbe impossibile l’agire umano, allo stesso modo che renderebbe impossibile la scienza chi negasse o dubitasse dei primi principi da cui essa muove, Averroè vuole nei suoi libri“liberamente parlare coi filosofi autentici”, non opporsi agli insegnamenti della tradizione religiosa”.

    Non “doppia” quindi, come gli scolastici latini vollero, né accanto a quella religiosa  c’è nessuna altra verità filosofica, “la verità è una sola: il filosofo la cerca attraverso la dimostrazione necessaria, il credente la riceve dalla tradizione religiosa nella forma semplice e narrativa, che è adatta alla natura della maggior parte degli uomini. Ma non c’è contrasto tra le due vie, né dualismo nella verità” ma tutto concorda e si compie nell’unica verità del Corano e la ricerca dei filosofi e fu questa l’accusa,maestro, che ti fece superbo aristocratico del sapere,  diventa la preghiera più alta che un uomo può rivolgere a Dio e l’… “intelletto” che viene direttamente da Allah è il suo dono più prezioso!

    Sì, quell’intelletto, che pur diviso in “attivo e passivo” come il tuo ammirato  “maestro” mai da nessuno superato, voleva, tu lo leggesti in Dio unito e come colui che molti secoli dopo Platone fece grande, anche tu lo dicesti eterno e come il sole illumina l’aria e porta in atto i colori che contiene e vengono dalla nostra potenza visiva percepiti, così allo stesso modo  “l’intelletto attivo”, quel grande avrebbe scritto “emanando”, illuminando per discesa “l”intelletto passivo” che, di contro ai tuoi predecessori, tu, maestro, dicevi non dell’uomo essere “l’anima” ma solo quella “parte razionale” ovvero quella facoltà di “astrazione” che“ è comune a tutti gli uomini e che tutti posseggono, chi più, chi meno”  e che sola è capace di cogliere quelle forme dell’intelletto attivo, le quali esse, sì, e non l’anima, facendola quindi mortale, sono universali, eterne ed indistruttibili e che e fu, maestro, la tua accusa di aristocratico, crescendo per quell’“intelletto speculativo, che è una facoltà divina, che si trova solo negli uomini eccezionali” si fa “ intelletto acquisito” ovvero: sapere che eternamente dura. Perché se è vero che muore con l’uomo il suo sapere e con Socrate e Platone muore la scienza che in loro luceva, rimane però quell’”intelletto “acquisito” che partecipando dell’eternità di Dio in cui tutti gli “intelletti” sono uniti si fa eterno e … separato dall’”anima” che di contro invece muore, come ben intese, quel tal poeta di Velia, autor di una “Achilleide” quando rispondendo al divino che ti appellò colui “che ‘l gran comento feo”  con queste linee ti respinse, “quest’è tal punto, / che più savio di te fé già errante, sì che per sua dottrina fé disgiunto / da l’anima il possibile intelletto, / perché da lui non vide organo assunto” accusandoti, maestro Averroè, di essere stato poco avveduto a separare “l’anima dall’intelletto” perché Dio “come al feto l’articular del cerebro è perfetto” compiacendosi della sua nuova creatura “tira in sua sustanzia, e fassi un anima sola,che vive e sente e sé in sè rigira” gli spira una nuova anima che comprendendo in sé la prima anima vegetativa con la sensibile e l’intellettiva ne fa un’anima sola e quindi immortale come colui che la spirò e …per confortarlo continua rinforzando e non ti appaia strano chè come “il calor del sole che si fa vino,giunto all’omor che de la vite cola” così anche la sostanza “celeste” unendosi alla sostanza “terrena” può produrre una “nuova” sostanza … trascurando e fu, maestro Averroè, la tua critica che sì l’anima partecipa per la sua facoltà di astrazione al processo della conoscenza intellettiva ma non è però l’”agente” ma il “riflesso” come ben spiegava l’esempio del “sole” del tuo “primo maestro”!

    Ma troppo ardua ed erta era, maestro,  con quel tuo intelletto “uno” la tua “anima mortale” e troppo i tuoi tempi non erano i miei in cui la Chiesa abbandonatola “spada” si è consacrata al “pasturale”, e fu così che sebbene credente e mussulmano e del “Corano” osservante, prima scacciato dalla moschea fosti poi in quella terra che oltre il mare di Gibilterra i monti rubarono al deserto,esiliato e non passarono che pochi anni dalla tua morte che crescendo nel nostro Occidente, dove per le molte traduzioni di quel tal grande nostro astrologo che in Salerno nacque e che “veramente, delle magiche frode seppe il gioco” e che allo “stupor mundi” profetizzò “sub flore” la sua morte restituendogli in latino alla sua“De arte venandi” il“De animalibus” del “maestro di coloro che sanno”  i tuoi “Commentari”, i quali tradotti e commentati da coloro che furono detti“averroisti latini” tra i quali splendeva in Paradiso” ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri / gravi a morir li parve venir tardo:/ essa è la luce etterna di Sigieri,che, leggendo nel Vico de li Strami,/ silogizzò invidïosi veri”, fortificarono così tanto il loro magistero che non passò che poco tempo che solerte  da quel tal papa che il divin poeta  “lucere”  per i suoi “dodici libelli” e che il popolo di Roma diceva invece essere “un pazzo sapiente seduto sulla santa cattedra” venne il comando di tosto  e che alla Chiesa fu  “troppo molesto”, da quel concilio di Parigi accusato di empietà ed eresia, fosti condannato e non solo, per essere “doppio” ,cosa falsa,ma ancor più per aver negato all’anima l’ “immortalità”. Ed in un tempo in cui “giunta la spada col pasturale”, da Roma, dove  quel tal papa che il divin poeta in Paradiso esalta per la luce dei suoi “dodici libelli” regnava e che il popolo di contro diceva “un pazzo sapiente seduto sulla santa cattedra” venne il comando di “sapere”, che accolto con disciplina da quel tal vescovo di Parigi che già tanto all’ortodossia aveva dato, tosto si fece artefice della tua condanna e pubblicamente denunciando con il tuo “primo maestro” i tuoi “Commentari”, di eresia ed empietà accusò le tue “proposizioni” financo quelle dell “angelico dottore” ed al fuoco condannò ad ardere prennemente i tuoi libri. Ma alla conoscenza cui mai nessuno può mettere le catene, “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” canta il Sommo Poeta, come già la tua città di Spagna, ricorda il “doctor Maximus”, pochi mesi dopo la tua morte, con grande delirio di folla esaltò la tua sapienza agitando in aria i tuoi libri, reclamando volle nella tua tomba di famiglia, il tuo corpo in esilio sepolto, così allo stesso modo nel nostro Occidente, dove pure oltre le condanne, come a qualcuno piacque di troncare il tuo pensiero, pure continuò a crescere il tuo “turbine e tanto crebbe che nessuno di coloro che della “Scolastica” con l’apogeo ne segnarono la decadenza poterono non venire alla tua sapienza ed a quelle tue “proposizioni” che ancora ci interrogano e che nel cielo ruotano come la tua stella illuminandoci il cammino e se poi … quella  “doppia verità” che non mai ti appartenne, alla fede ti fece opposto, non ti crucciare, maestro Averroè, chè sol “chi pensa resta immortale” e tu,maestro eternamente vivi! 

     

    Questo, maestro, il mio epigramma per te “Fermati viandante questa è l’arca del grande Averroè che l’Occidente disdegnò abbeverandosi”  

     

    Questo, maestro, nel marzo che mi appartiene l’amore e il tempo che passa … il fiore che ti porto!

     

    Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di lunedì 22 marzo dell’anno del Signore 2021

     

    P.S.

    “Fermati viandante questa è l’arca del grande Averroè cui l’Occidente abbeverandosi “a gran dispitto”lo tenne. 

     

     

     

     

     

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