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    La Scvola di Atene

    Si vanti pure e gridi alto di Batilao la magnifica città di Poseidonia il nome!

    Di Gaetano Ricco9 Gennaio 202412 Min Lettura2 VisiteNessun commento
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    a

    batilao di poseidonia

    epistola

    vi – lxix

    A Batilao (Poseidonia V sec. a.C.) figlio della città di Poseidonia che dei duecentodiciotto di Giamblico trasse il nome e fu il sesto … il mio saluto!

    EPIGRAFE

    Nel novero complessivo dei pitagorici molti, come è ovvio, sono rimasti sconosciuti e anonimi, ma di quelli che si conoscono, i nomi sono i seguenti… di Poseidonia: Atamante, Simo, Prosseno, Cranao, Myes, Batilao, Fedone.

                                                                                          (Giamblico “Vita Pitagorica”)

                                                  

    Ed anche per te, maestro Batilao, figlio della città di Poseidonia che dei duecentodiciotto di Giamblico traesti il nome e fosti di Poseidonia il sesto, canterò il mio canto. E se tutto manca, maestro, e di te le fonti non tramandano che un nome, una città e forse un libro, imperioso avanzando di contro con il vuoto l’oblio ed il silenzio, pure io di te mi farò “vasel” e libero me ne andrò ”ad ogni vento per mare… al voler” mio e tuo  e superando ogni avversità ti porterò a Crotone dove Alcmeone il medico ti aspetta e fu tuo amico. E per Diogene che di molti filosofi tenne “Le Vite” ed io epitomai, che di Alcmeone scrive: ““Alcmeone nacque a Crotone. Anche costui fu uditore di Pi­tagora e trattò soprattutto di medicina” faremo visita alla sua Scuola che di quella antica sapienza medica che Pitagora, tramandano le fonti, aveva appreso nei suoi in viaggi in Egitto, dove, meraviglia dei tempi antichi, anche le donne erano ammesse, basti pensare ancora nel Iv secolo a.C.  al divieto di Platone, ancora nel III millenio a.C. una donna di nome Pheseshet, sacerdotessa del dio Ptah, aveva potuto far scrivere sulla sua tomba queste parole: “sono venuta dalla scuola di medicina di Eliopoli e ho studiato alla scuola delle donne di Sais, dove le divine madri mi hanno insegnato a curare le malattie”, noi verremo e con lui faremo conversazione feconda, chè  tante ancora di Pitagora furono le “opere mirabili e divine” .

    Narra il mio antico maestro Diogene che Abaris, il sacerdote di Apollo Iperboreo, il dio davanti al cui altare i medici rendevano ed ancora per il suo figlio Ippocrate rendono il loro giuramento “promettendo “di astenersi da qualunque ingiustizia volontaria e da ogni danno, di fare il bene dei malati, di non fare loro il male, di schierarsi a difesa della vita, di non praticare aborti, eutanasia attiva e suicidio medicalmente assistito” che una volta “passando per l’Italia, vide Pitagora, e lo trovò in tutto somigliante al dio di cui era sacerdote. Era convinto che Pitagora, lungi dall’essere un uomo simile al dio, fosse in realtà il dio stesso.  Il che desumeva dai tratti venerabili che in lui ravvisava e dai segni distintivi che in quanto sacerdote egli già conosceva. Così, ‘restituì a Pitagora la freccia che aveva preso con sé lasciando il tempio…Pitagora, per parte sua, accettò la freccia, senza meravigliarsi della cosa e senza domandare per qual mo­tivo Abaris gliela consegnasse; anzi, come se fosse vera­mente Apollo, lo trasse da parte e gli rivelò la sua “coscia d’oro”, dandogli così modo di vedere che non s’inganna­va”.  Chè davvero era lui il figlio del dio guaritore e che, quando, fuggendo dalla “tirannide di Policrate” che travagliava la sua patria Samo, dopo tanto vagare misteriosamente la sua nave approdò a Crotone, dove “per il miracolo che ivi vi fece di indovinar quanti pesci erano in una rete che alcuni pescatori stavano tirando dal mare” fu subito dal popolo accolto e riverito, non fu caso, perchè, come narra il Cuoco nel suo “Platone” sembra che la città di Crotone fin dalla sua fondazione fosse dallo stesso oracolo di Delfi, dove il dio dice e non dice e tutto svela,  stata destinata a diventare della medicina la prima sede. Scrive, confermando, il Cuoco: “il figlio di Alcmone, Miscello, argivo, vi condusse una nuova colonia. Egli era l’amico ed il compagno di Ercole. Raccontasi che nello stesso tempo volle fondare un’altra colonia anche Archita di Corinto. Consultarono ambedue l’oracolo di Delfo. Il dio dimandò loro qual mai più bramassero, se la sanità o la ricchezza. Archita chiese la seconda, e l’oracolo gl’impose di fondar Siracusa; Miscello volle la prima, e gli fu detto di stabilirsi in Crotone”. E fu tanta poi la fama che ne crebbe dalla sua “sanità” che corse alta la voce per tutta la Grecia tanta che, ancora al tempo di Platone ed oltre, in Atene, si narra, circolasse un antico adagio che recitava “niun luogo è più salubre di Crotone”. Ed in effetti era presso i pitagorici la cura del corpo azione quotidiana così importante e dovuta alla regola della scuola che: “i più si ungevano e si esercitavano nella corsa, altri, in minor numero, praticavano la lotta, nei giardini e nei boschi, altri ancora gli esercizi con i manubri o il pugilato senza avversari, tutti curandosi di scegliere quegli esercizi adatti a irrobustire il corpo” tanto che si diceva ed era cosa creduta che “l’ultimo tra i crotoniati era il primo in forza tra tutti gli altri greci”. Ed in verità la gloria dei suoi atleti fu tanta che non mancò l’allievo di Plotino di assegnare alla sapienza di Pitagora ed al suo regime alimentare quella gloria. Lui che, mentre gli altri atleti avevano l’usanza di nutrirsi, secondo l’antica tradizione di formaggio e di fichi, per primo prescrisse anche di cibarsi di una determi­nata quantità di carne per ogni giorno tanto che “pur essendo (il samio Eurimene) di bassa statura, riuscì a superare molti e robusti avversari, e a trionfare nei giochi Olimpici”. E furono davvero tante e tutte grandi le vittorie degli atleti crotoniati alle Olimpiade se l’autore del “Saggio” sulla rivoluzione napoletana del 1799, potè, sempre nel suo “Platone” scrivere “non ti parlerò di Milone” di cui in tutta la Grecia son delle Olimpiadi note le sue sette vittorie, ma di ”Esone, che pur non eguaglia la fama di quello, narrasi che mangiava in solo giorno ottanta pani  e che prendeva nei nostri monti un toro, e tenendolo afferrato per le gambe, lo presentava in dono ad Amarilli, la sua bella”. E se “un poco non è poco se va oltre il molto e pochi possono molto più di molti” ora dico basta a quella gloria e a quella città di Crotone “assai più popolosa di quella di Taranto” e torno a te, maestro Batilao, che teoria e fama del maestro certamente conoscevi e praticavi. Tanto che  quando venne poi il tempo che la dissoluta Sibari dai crotoniati venisse distrutta e molti dei suoi abitanti fuggirono nella tua città per trovar rifugio, tu chiedesti ed appreso che famoso reggeva ancora le sorti in Crotone della medicina Alcmeone, per quel sicuro vincolo di amicizia che il maestro imponeva ai suoi discepoli, basti ricordare a testimone la solerzia del tuo confratello che “appena seppe solo per sentito dire che Timarida di Paro che era un pitagorico, quando questi da ricco che era, cadde in miseria , raccolse molto danaro e partì per Paro, ricostituendogli il patrimonio”  determinasti di andarlo a visitare ed affrontando l’antico tratturo che da Poseidonia passando per Elea e poi per l’antica città di Laos conduceva a Sibari e quindi a Crotone, con il bastone e la bisaccia ti mettesti in viaggio. E quando dopo molti giorni di cammino felice e stanco giungesti alla sua scuola, ti riconobbe, per il tuo segno pitagorico, il maestro ed abbracciandoti, come era vostra consuetudine, ordinò di farti lavare i piedi ed unto e rifocillato il corpo, quale amico che viene di lontano, ti ricevette in quel tempio delle Muse che era la vostra casa e dopo aver insieme libato e fatto voti  al vostro dio, vi assidesti. E come Diogene nella sua opera attesta che non disdegnando il medico Alcmeone di interessarsi “anche della natura, come quando dice: “la maggior parte delle cose umane è duplice … pare che sia stato il primo ad avere scritto un trattato sulla natura, come dice Favorino nella “Storia Varia”, e che la luna e (generalmente i corpi al di sopra di essa) hanno natura im­mortale”, ed  Aristotele quando scrive “anche Alcmeone, a quanto sembra, suppose intorno all’anima: afferma infatti che essa è immortale per essere somi­gliante alle cose immortali, e questo le deriverebbe in quanto è sem­pre in movimento; perché anche le cose tutte divine si muoverebbero in continuazione sempre: luna,, continua il sole, gli astri ed il cielo nel suo com­plesso”, conferma, egli con voce dolce d’amico cominciò, come ancora conferma il frammento “Alcmeone di Crotone, figlio di Pirito, queste cose disse a Brontino e a Leonte e a Batilao” a parlarti dicendoti “delle cose invisibili e sulle cose mortali solo gli dei hanno la certezza, ma agli uomini è dato il congetturare”. E continuando, come il Maestro Pitagora insegnava, ripeteva confermando che ogni manifestazione della vita umana risulta dal concorso di potenze opposte e che “la salute dura fintantoché i vari elementi, umido secco, freddo caldo, amaro dolce, hanno uguali diritti (isonomia), e che le malattie vengono quando uno prevale sugli altri (monarchia). Il prevalere dell’uno o dell’altro elemento, dice, è causa di distruzione… La salute è l’armonica mescolanza delle qualità opposte”, e tu ascoltavi che in attesa c’era la tua cara città di Poseidonia che in continua lotta con la palude da te, da voi pitagorici, attendeva la “sanità”. E venne poi il tempo poiché “l’uomo dagli altri esseri viventi differisce per il fatto che egli solo ha comprensione mentre gli altri hanno solo sensazione ma non comprensione”, che dopo l’ascolto rende edotti, apprendendo che noi “udiamo con le orecchie perché in esse è il vuoto e percepiamo gli odori col naso conducendo al cervello l’aria che inspiriamo e distinguiamo i sapori con la lingua, perché essa è calda e molle e col calore distribuisce i sapori e ancora gli occhi vedono mediante l’umidità che li circonda” e che “tutte quante le sensazioni poi avrebbero una qualche connessione col cervello, (a gloria di Alcmeone che al cervello consegna un ruolo centrale nella formazione dei processi vitali e psichici, ricordo che Empedocle come il grande Aristotele ritennero invece fosse il cuore e che il cervello avesse di contro solo la funzione di raffreddare il corpo!)  per cui anche si deteriorerebbero se esso si muove e cambia la sua posizione: verrebbe infatti ad ot­turare i condotti attraverso cui passano le sensazioni”, tu, maestro Batilao, ricco di tutta l’esperienza addosso del maestro, di cui il filosofo di Calcide dice essere stato il primo che “sezionando animali viventi” avviò di quella nobile scienza medica l’ esperimento, ripartisti e non mancando di fermarti ad Elea dove da tempo praticava e guariva la scuola  dell’“oscuro e terribile” medico Parmenide, venisti a Poseidonia, per primo in quella tua città importando quella nuova arte che non mai dimenticata continuerà nei secoli illuminare la nostra terra. E quando, avanzando i secoli bui, del grande impero romano lentamente cominciarono a decadere le città e con le città la memoria di quella tua antica arte, dovette resistette la fama della tua città, se come tramandano le fonti, ancora nel medioevo la tua città e non Elea veniva ricordata come la “civitas Campaniae, ubi abundant medicos“ (la città della Campania dove abbondano i medici). E quando, sotterranea per secoli, quell’arte custodita forse per secoli nel segreto del nuovo sacerdozio che perdurò intorno al tempo di Atena, in quella lontana notte dell’Alto Medioevo risorse, eri proprio tu, maestro Batilao, (forse che, come tramanda Eraclide Pontico, il tuo maestro della metempsicosi artefice, non fu già prima “Etalide e …in seguito poi era tornato in vita nel corpo di Euforbo e…poi dopo la morte di Euforbo l’anima era passata in Ermotimo, morto Ermotimo era rinato come Pirro di Delo pescatore e… morto Pirro era rinato come Pitagora e di tutto quanto si è detto serbava il ricordo”) che “reincarnandoti” per la tua anima immortale nel corpo di quel latino di Salerno di nome Antonio, rinascendo a nuova vita tornavi nuovamente a fare grande la nostra amata terra. Eravate in quattro (tu per Antonio, il latino di Salerno, un ebreo di Betania di nome Isacco, un arabo di Aleppo di nome Adbul ed un greco di Alessandria di nome Ponto) in quella lontana notte che in seguito ad un forte temporale vi ritrovaste a ripararvi sotto uno dei pochi archi ancora sopravvissuti dell’acquedotto longobardo dell’Arce di Salerno e, riconoscendovi dell’arte medica tutti esperti, decideste insieme di far rinascere quella antica e nobile arte e fu… la gloriosa Scuola Medica Salernitana, cui dando il canone il grande Federico, unica per tutto l’impero, le concesse  il privilegio di laureare medici. Recita delle sue “Costituzioni Melfitane” l’articolo 45: “Che nessuno osi esercitare la medicina se non sia stato approvato in sessione pubblica dai maestri di Salerno. Quando adottiamo provvedimenti relativi alla salute pubblica, Ci preoccupiamo di un problema di particolare interesse generale. Considerando dunque il grande dispendio e il danno irrecuperabile che potrebbe determinarsi a causa dell’imperizia dei medici, comandiamo che, in futuro, nessun aspirante al titolo di medico osi esercitare o altrimenti curare se essendo stato prima approvato in sessione pubblica dai maestri di Salerno, non presenti con lettere dei maestri e dei nostri funzionari attestanti fedeltà e preparazioni adeguate alla Nostra presenza o, se saremo assenti dal Regno, alla presenza di chi sarà rimasto in Nostra vece e non avrà ottenuto da Noi o da lui la licenza di esercitare la medicina. La pena del sequestro dei beni e di un anno di carcere incombe su coloro che in futuro oseranno esercitare contro questa legge emanata dalla Nostra Serenità”. E tanto crebbe il nome e di quella Scuola la gloria che non bastò la fama a vantarla dei tanti medici, chè tante, impreziosendo la sua corona, una per tutti Trotula, medichesse laureò, e… se quel “Carlo(che) venne in Italia e, per ammenda, vittima fé di Curradino” non fosse mai venuto fortuna ancor più grande ne sarebbe arrisa a Salerno, nostra patria e a quella Scuola che fu, maestro Batilao, la tua gloria!

    Ancora un altro alla tua arte dedicato : “Dicevi è fu il Maestro che delle sensazioni è sede il cervello e non ci fu duello che a prova tu portasti il coltello.

    Questo, maestro, nel novembre attonito l’amore infranto ed il mio monito… il fiore che ti porto!

    Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di lunedì 27 novembre dell’anno 2023 

     

     

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