A proposito di musicale ‘simbolismo fonico’ rinvenibile nelle poesie, a titolo di esempi, di D’Annunzio, Pascoli, Palazzeschi

La magia della musica ed ideali celati o perentoriamente palesati

del disordinato e variegato scorrere degli eventi; infine vi è la rappresentazione di due personaggi storici

Cultura
Cilento martedì 14 agosto 2018
di Giuffrida Farina
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l'uomo di fumo © n. c.

A proposito di musicale ‘simbolismo fonico’ rinvenibile nelle poesie, a titolo di esempi, di D’Annunzio, Pascoli, Palazzeschi, sicuramente i detti popolari contengono una componente di evocativa sonorità musicale: in brevi espressioni letterarie cariche di sottile umorismo e raffinata – talvolta pungente – ironia, attraverso le quali si trasmette un messaggio frutto dell’esperienza e della saggezza di un popolo, i versi sono accentati secondo una ben definita metrica o consonanza di parole;inoltre,le frasi proverbiali, spesso esprimono immagini relazionate con persone, oggetti, animali, eventi di vita. La memoria del popolo riporta alla luce perle di saggezza, frequentemente vi è il ricorso a rime od assonanze di termini (“parenti/serpenti”, “non risica/non rosica”…) che conferiscono musicalità alla espressione. Inducendo anche divertimento. Ecco, temi notevoli della Letteratura del ‘900,sicuramente sono rappresentati dalla angoscia esistenziale provocata dal dolore della vita, dalla foscoliana ‘ultima Dea’, la Speranza, e dall’evento dal quale essa fugge, la morte. Ma vi è un eccentrico personaggio, le cui opere furono assai distanti da tali tematiche: il fiorentino Aldo Palazzeschi (1885-1974), il quale si avvicinò al Futurismo dopo il ‘crepuscolarismo’ dei suoi primi canti, ed espresse la sua vena fantastica in gustosi racconti carichi di ironia e leggerezza, oltre che in originali sperimentalismi linguistici. Sosteneva che nessuno, in vita sua,si era divertito quanto lui; grande e irriverente poeta,spirito ribelle,destava sconcerto con il suo ingegno,con il suo nichilismo beffardo non risparmiante alcuno e nessun luogo:“Avete pensieri neri?/Veniteli a svagare/ dentro i cimiteri”… Uno dei suoi personaggi più bizzarri, singolarmente enigmatico, fu Perelà: intorno a questo etereo “omino di fumo”, privo dunque di sostanza, varie interpretazioni sono state formulate, spazianti da una leggerissima galleria di personaggi scherzosi, alla caricatura di presuntuosi ‘tutto fumo e niente arrosto’, sino, addirittura, ad una inclinazione di sottile sacralità religiosa che,venne scritto, pervadesse non solo Perelà, ma l’intera opera Palazzeschiana; alcune interpretazioni critiche inquadravano il simbolico Perelà celante, addirittura, la rappresentazione di Cristo: l’improvvisa comparsa nel mondo grazie ad un prodigioso intervento materno, il ciclo terreno concluso da entrambi trentatreeni, un processo ed una condanna per ambedue, una conclusiva ascesa al cielo ed una dottrina lasciata in eredità al genere umano. Passiamo ad una Arte universale: probabilmente non esiste alcuna persona al mondo che possa rimanere insensibile al fascino della Musica, il cui semplice ascolto consente persino di identificare un popolo, come sottolineava Platone.“Una rivelazione, più alta di qualsiasi saggezza: la Musica racchiude tutte le filosofie del mondo”, recitava un pensiero di Beethoven. Magica arte, caratterizzata da 3 componenti:una componente melodica, una armonica, ed una ritmica; 3 soli musicisti sono dunque sufficienti a descriverla:un cantante (esegue la melodia), un pianista (accompagna con l’armonia), un batterista (che ‘porta il tempo’, ossia mantiene l’andamento ritmico della composizione). Un mito dell’Antica Grecia, il mito di Pan e Siringa, ne esprime tutta la bellezza: Siringa era amata da Pan, il quale si pose alla sua ricerca; ascoltando una melodia e non sapendo in quale canna fosse nascosta Siringa, Pan dispose le canne in sequenza, una di fianco all’altra… Da tale sequenzaè nato lo strumento musicale “flauto di Pan” o “siringa”; in greco, l'aggettivo “Pan” significa “Tutto”, “Tutto” identificabile,secondo Beethoven, con l’arte musicale. Che non sempre può manifestare la sua bellezza, dovendo ‘gareggiare’ con le dure necessità della vita: “E che vogl' cantà ca sò riuna, cantat' vuie ca sit' mangiat' ”, risuonante con i versi iniziali di una poesia che rappresentò la svolta artistica di Quasimodo, la ‘conversione’ dallo stile ermetico a quello realistico, calato nel quotidiano: “E come potevamo noi cantare/con il piede straniero sopra il cuore…”). In temadi mutamenti sociali: «Gesù è stato il primo anarchico»; «Io sono Unico, anarchico ultraindividualista!». Le due frasi, intorno alla dottrina anarchica, e quella richiamante la unicità del Nostro Essere, sono state pronunciate: dallo scrittore Alexandre Christoyannoupoulos, e da un bizzarro tipo, citato da Antonio Gramsci in un brano della raccolta ‘Lettere dal carcere’, che si autodefiniva ‘Unico’. Christoyannoupoulos, docente universitario di Relazioni Internazionali, racconta in un suo libro i legami tra Cristianesimo e Anarchia; in sintesi: si può essere simultaneamente anarchici e cristiani, attesa la circostanza che, secondo l’autore, Gesù non è stato il primo socialista, bensì il primo anarchico; l’interazione ‘cristiana/anarchica’ trova convergenze nelcomune rifiuto della violenza, nella ribellione alla Autorità, inoltre nella concezione sovversiva caratterizzante ogni classe oppressa.

Altro poeta che nei suoi versi esprimeva sentimenti semplici ed aspetti quotidiani dell’esistenza in un genuino contesto realistico,con una cifra di immediata riconoscibilità,fu il triestino Umberto Saba (1883-1957); rimangono impresse nella memoria alcune sue liriche:una di esse descriveva la gioia di un portiere di calcio esultante da lontano per un gol segnato dalla sua squadra, in un altro componimento, addirittura, paragonava la moglie a tutti gli animali del mondo, similitudine che inizialmente non fu ben accettata dalla consorte (certo, passare dalla deificazione della bellezza al paragone con oche, galline e mucche, desta qualche sconcerto). In un altro bellissimo brano, l’eco di una universale angoscia risuonava nel belato dolente di una capra,alla quale il poeta esprimeva sentimenti di compassione e solidarietà, e nel cui viso leggeva tutto il dolore del popolo ebraico,causato dalle persecuzioni razziali e dalle infinite sofferenze inflitte in millenni di storia. Inseguire e ‘voler bene’ a qualunque Ideale (“E chi bene m' vole, appriess' m' ven' ”) non fa che rafforzare la tesi della relatività di una qualunque certezza.

Concludo con alcune raffigurazioni: di una galleria di protagonisti di fumetti, con l’evanescente Perelà che fuma una sigaretta; del disordinato e variegato scorrere degli eventi; infine vi è la rappresentazione di due personaggi storici: Cristo, e Hitler rinchiuso in un cuore, con una capra che osserva una nota musicale.

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