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    Percorso:Home»Politica»Intervista a Franco Latempa sindaco di Sacco
    Politica

    Intervista a Franco Latempa sindaco di Sacco

    Di Bartolo Scandizzo18 Maggio 201811 Min Lettura1 VisiteNessun commento
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    Quando e come nasce la tua passione per la politica?

    Praticamente da sempre. Ufficialmente un ottobre di 45 anni fa, nel 1973, nel primo anno di frequenza del magistrale presi la tessera del PCI con i “Compagni” di Piaggine, anche se la mia scelta di “Sinistra” era già nata nei primi anni delle medie.

    Tu sei nato a Sacco, un paese situato nell’estremo Nord della Valle del Calore. Come è cambiato il paese nel quale oggi fai il sindaco?

    Se il pensiero va al passato, alla nostra adolescenza, il distacco è profondo. Negli anni è completamente evaporato un patrimonio umano e culturale. Quello che è accaduto, di fatto, in tutte le aree soggette a spopolamento. Un’emigrazione continua ne ha impoverito il tessuto sociale ed economico. Una popolazione solo di anziani, con pochissimi giovani e bambini. Le attività economiche ridotte al minimo, appena all’essenziale. Per fortuna si riescono ad assicurare ancora alcuni servizi essenziali anche se i collegamenti rimangono precari per colpa di una viabilità che, da sempre deficitaria, si è ulteriormente aggravata con la chiusura della SP 342, tra Sacco e Roscigno, per il crollo di un costone roccioso. Una quotidianità ai limiti dell’emergenza. Un quadro catastrofico, ma da uno sguardo alle caratteristiche risorse ambientali e paesaggistiche si accende un lume di speranza. Ed è su questo che bisogna lavorare

    Tu non vivi e né lavori a Sacco. Come fai a seguire le problematiche che quotidianamente si presentano nella comunità?

    Non faccio mancare la mia presenza. Dedico molto del mio tempo all’attività amministrativa e sono a Sacco per almeno tre giorni settimanali. Quando non sono presente per impegni di lavoro sono sempre in contatto con i miei collaboratori ed amici amministratori. Un’ottima squadra, “Effervescente” per alcuni versi, ma molto collaborativa. Una collaborazione corale dove ognuno si è assunto un compito, al di là delle deleghe di giunta e degli stessi eletti: una partecipazione esterna che arricchisce l’attività amministrativa. Posso affermare con orgoglio che quanto avevamo scritto nel programma sulla gestione amministrativa si sta puntualmente realizzando: “Condivisione, collaborazione e trasparenza” sono davvero diventati il punto di forza dell’amministrazione che ho l’onore di presiedere. Posso dire di essere sempre vicino all’esigenze ed alle necessità di ogni singolo concittadino. Ho fatto, abbiamo fatto, della quotidianità, dei problemi di ogni giorno, l’obiettivo principe della nostra attività amministrativa. E vi assicuro che c’è molto da fare, il lavoro non manca per chiunque voglia cimentarsi e dare una mano.

    La costruzione del ponte sul Sammaro alla fine degli anni 60’ fu accolta come la fine dell’isolamento e l’apertura di un nuovo canale di sviluppo. Cosa non ha funzionato?

    Le grandi opere non sempre riescono a risolvere problemi più profondi. Non basta costruire strade e ponti, anche se utili ed importanti, per uscire dall’isolamento. È sempre necessario trovare una dimensione economica e culturale che dia autonomia ad un territorio. Questa dimensione non solo non l’abbiamo trovata, ma addirittura abbiamo smarrito l’originaria vocazione rurale che dava un senso alle nostre comunità. Oggi l’isolamento è di un intero territorio: di Sacco, vicino a Sacco ed anche molto più in là. Non solo il ponte sul Sammaro, ma anche miliardi di investimenti post terremoto o i generosi fondi europei. Il declino e l’abbandono non si sono arrestati. Allora bisogna forse fare autocritica e cominciare a pensare che sia necessario costruire un’idea di territorio che abbandoni velleità e sogni di grandezza e che invece valorizzi il nostro patrimonio culturale, ambientale, paesaggistico ed anche produttivo. Non possiamo entrare in competizione con altri territori che meglio e più di noi fanno, ad esempio, turismo di massa, o produzioni intensive. Noi dovremmo, a mio avviso, dedicarci alla qualità, ad una serie di prodotti “Identitari” che rendano unico ed appetibile il nostro territorio. Puntare molto ad esempio su una residenzialità di qualità che non debba entrare in competizione con le realtà urbane, ma che debba invece essere ad esse complementare. Molte iniziative stanno nascendo soprattutto nel campo dell’enogastronomia, nella riscoperta dell’agricoltura, dell’allevamento e di attività artigianali che nel passato hanno dato un senso ai nostri borghi montani. Ma non basta. È necessario, per intensificarle e renderle significative, fare sistema: uscire dalla logica del campanilismo e cominciare a costruire una visione di territorio. Sono convinto che anche quando i finanziamento arrivano con la carretta, e non possiamo dire che DI soldi non ne siano arrivati, questi senza un progetto, un’ idea di territorio, non solo non portano sviluppo, ma creano sempre degrado e spesso corruzione. E, infine, credo che per invertire la tendenza allo spopolamento o perlomeno cercare di arginarlo occorra un “Piano Marshall” a livello nazionale ed europeo. Non basta qualche leggina sui piccoli comuni che, è vero, pone un principio, ma sicuramente non rappresenta un valido strumento per affrontare il problema. Fiscalità di vantaggio, incentivi alle attività produttive per rendere competitivi i nostri territori, ma anche come compensazione al nostro contributo nella salvaguardia degli equilibri eco-ambientali. Penso ad esempio alle aree parco come il nostro PNCVDA….

    Nel 1980 il terremoto, a differenza di molti altri paesi della valle, fece molti danni. Dove ti trovavi e che ricordi hai di quell’esperienza?

    Ero a casa a vedere la differita Juventus – Inter. Precisamente stavo imprecando per un palo di Ambu. Una partita persa dall’inter, campione d’Italia, 2 a 1. Appena mi resi conto della forte scossa uscii di casa alla ricerca di mia madre. Arrivai trafelato in una piazza piena di urla e confusione: una marea indistinta ed inconsapevole che si dirigeva sconvolta verso l’esterno dell’abitato. Trovai mia madre e da quella sera,e per molte ancora, ci accampammo intorno a bivacchi di fortuna o in abitazioni rurali. Ricordo una solidarietà collettiva che per molto tempo animò la nostra comunità: Sapemmo condividere, insieme alla paura, tanti momenti di vita quotidiana. La smarrimmo, poco dopo, quando iniziò la ricostruzione. Il terremoto vero.

    La stragrande maggioranza dei tuoi concittadini sono emigrati lasciando il paese vuoto di anime. Quali sono state le mete migratorie dei Sacchesi?

    Già nel 1883, la comunità sacchese vantava circa 100 cittadini, con al seguito un sacerdote, a New York. Alla fine del 19° secolo l’emigrazione si diresse verso le americhe: USA, appunto, ma molta Argentina e Brasile. Quando arrivano le richieste di registrazione di cittadinanza, molto spesso ci si trova di fronte a cognomi ormai scomparsi nella nostra comunità, anche nella memoria. A riprova che si trattò di un vero esodo, di intere famiglie che abbandonarono il nostro paese. Questo flusso migratorio ha interessato il nostro paese fino agli anni 60/70 del secolo scorso. Negli anni cinquanta, invece, il nostro paese fu interessato da un forte flusso migratorio anche verso il Venezuela, e negli anni sessanta ed a seguire verso i paesi europei (francia, Germania, svizzera…) e le città del triangolo industriale. Ed è storia ancora di oggi…

    Che rapporti intrattiene il comune con i Sacchesi e i loro discendenti che vivono lontano nel mondo?

    Spontanei. Nel senso che i nostri concittadini residenti all’estero e in altre città d’Italia continuano ad avere un rapporto affettivo forte ed intenso con il nostro paese. Per il forte flusso migratorio, del quale parlavo, si contano molte e numerose comunità di sacchesi, positivamente protagoniste e ben integrate, Nelle Americhe, in Europa e in tante città Italiane La nostra è una “Comunità affettiva” che ci tiene uniti al di là di ogni spazio e di ogni tempo: essere sacchese è uno status culturale ed umano al quale ognuno di noi è molto legato e ne è fortemente orgoglioso. A new York vi è un club “Associazione Sacchesi d’America” , una sorta di società di mutuo soccorso, fondato nel lontano 1913. Contiamo molto su un’intensificazione dei rapporti con i nostri concittadini all’estero attraverso la costituzione di un’associazione (pensavo ad una fondazione) che faccia sentire protagonista ogni concittadino. A tale proposito ho affidato all’amico Raimondo tedesco, la delega ai “rapporti con i cittadini sacchesi residenti all’estero”. Molte attività sui social, ed in estate, dedicare alcune giornate di incontro.

    Quanti sono stati i nati negli ultimi 5 anni?

    Pochi. Si possono contare sulle dita di una mano.

    Quali sono le iniziative che intendi prendere per preservare e valorizzare il patrimonio abitativo?

    Molti sono gli spot attualmente di moda. Il patrimonio abitativo si valorizza solo attraverso un’antica legge dell’economia, della domanda e dell’offerta. Tutto il resto è fuffa o sterile propaganda. Oggi la realtà dei fatti, e bisogna prenderne atto, è che nessuno ha interesse al recupero di case fatiscienti o incomplete, i proprietari in primis. Detto questo bisogna però adoperarsi per creare un interesse, “una domanda”, che può scaturire solo dalla possibilità di rendere appetibile la residenzialità nei nostri borghi. Di quello che parlavo prima… Le sorgenti del Sammaro sono meta di molti appassionati escursionisti ma non abbastanza per renderle elemento trainante per le poche attività commerciali del paese. Quali progetti hai per modificare la situazione? Una sola parola magica: valorizzazione. Renderle fruibili attraverso interventi rispettosi dell’equilibrio eco-ambientale. Promuoverle attraverso attività di marketing e di azioni di riqualificazione e di ripristino della sentieristica. non è ammissibile, anzi è indecente, lo stato di abbandono in cui l’oasi è stata lasciata negli ultimi anni. C’è molto da fare di ordinario e di straordinario. Abbiamo iniziato già nello scorso anno, appena insediati, a ripristinare almeno parte della sentieristica. Quest’anno continueremo di buona lena, così come per altre aree verdi e paesaggistiche, tra cui l’area archeologica di Sacco Vecchio. L’idea è di creare un “parco fluviale” dove oltre agli elementi naturalistici, possa trovare rilievo anche l’elemento antropico, attraverso il ripristino di vecchi mulini, il ponte romano, e le centrali idroelettriche. Un progetto in work progress che deve man mano convogliare tutte le risorse, europee e non solo, in un’idea concepita in serie di interventi che devono da subito qualificarne l’area. Su questo ho incontrato grande sensibilità da parte della Comunità montana del Calore Salernitano e da parte dell’Ente Parco.

    Sacco fa parte della Comunità Montana del Calore Salernitano, ente del quale sei anche stato presidente. Quale giudizio dai nella gestione attuale?

    In questa prima parte della mia esperienza amministrativa, devo ringraziare tanto la Comunità Montana per essere stata vicino alla mia Comunità nei già tanti momenti di emergenza: siccità, con la penuria di acqua potabile nella scorsa estate, incendi boschivi e neve nel recente inverno. Non sarebbe stato possibile, senza il contributo della comunità montana, restituire, come dicevo prima, decoro e dignità ai nostri luoghi. Devo poi dare il merito all’attuale governance di aver saputo dare al territorio un equilibrio nuovo, non conflittuale così come nel passato e come in territori viciniori. E, credetemi, non è poco.

    L’intero comune e territorio di Sacco è compreso nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Che giudizio dai dell’attuale presidente e del direttivo?

    In questi momenti abbiamo appreso della formalizzazione della nomina di Romano Gregorio a direttore del Parco. Non posso non esprimere in questa sede tutta la mia soddisfazione perl’amico, al quale mi lega un rapporto antico di affetto e fiducia, e per il professionista che si è formato nell’ambiente tecnico/amministrativo dell’ente fin dalle sue origini. Credo che sia anche soprattutto una vittoria del nostro territorio in quanto avrà in Romano un punto di riferimento forte ed autorevole, fatto di competenza, professionalità e senso di misura. Parlare di Parco, tornando a noi, dalle nostre parti è sempre molto complicato. In un territorio pieno da sempre di tante difficoltà, sembra che il Parco sia la madre di tutti problemi. Un approccio semplicistico che non arriva al fondo della questione. È vero, il parco non ha rappresentato quel momento di sviluppo sinergico che doveva e poteva essere per il nostro territorio. Ma a tale proposito bisogna anche dire che il nostro territorio non è mai stato in grado di fare “squadra” e dare così al Parco quel ruolo dinamico di Ente coordinatore e sinergico. Molto spesso, per comodità, è diventato il capro espiatorio di tante velleità e di tante responsabilità riconducibili ad altri o ad altro. Un compito non facile per l’attuale Presidente e direttivo, come non lo è stato per il passato. Tommaso Pellegrino sa essere uomo di ascolto, capace di scelte anche scomode. Lo aiuta molto il suo carattere aperto e la sua spontanea disponibilità. Credo che sia necessario molto impegno per affrontare in maniera positiva i tanti problemi all’ordine del giorno, ma credo che alcune cose stanno andando nella giusta direzione: a breve l’intervento dei selecontrollori per risolvere il problema dei cinghiali, fortemente sentito dalle popolazioni del parco; la questione della fiscalità di vantaggio in riferimento anche all’art. 7 della legge costitutiva del parco; in ultimo alla revisione del piano del Parco anche “alla luce dei punti critici finora emersi”.

    Ho fiducia, e mi sento in questo contesto di dare il mio piccolo contributo a questa grande idea che è stata ed è il PNCVDA. E se il nostro territorio ne trarrà i dovuti benefici sarà per l’impegno positivo di ognuno di noi…

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