A poche settimane dall’uscita su Amazon del suo ultimo saggio Storia della fiera di Cannalonga (SA) pubblicato dal Centro di Promozione Culturale per il Cilento, ho incontrato Aniello Amato, dottore di ricerca in Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e l’Università degli studi “Roma Tre”. La lunga intervista, che copre diversi ambiti, dalla ricerca condotta su fonti d’archivio a considerazioni sulla metodologia e approfondimenti, è divisa in tre parti.
Il volume sta riscuotendo molto interesse da parte di studiosi e cultori della storia cilentana. A cosa possiamo attribuire questo successo, secondo lei?
Penso che questo successo sia dovuto a due motivazioni. La prima è che si tratta di uno studio totalmente d’archivio e quindi suscita curiosità perché frutto di anni di scavo all’interno degli archivi. in maniera totalmente autonoma ho recuperato, letto, interpretato e inanellato i vari documenti storici che molto spesso sono stati di difficile accessibilità perché spesso ho trovato dei documenti che finora erano inediti all’interno di fondi non catalogati oppure all’interno di archivi poco frequentati. il secondo motivo riguarda il fatto che la fiera di Cannalonga è un evento popolare abbastanza conosciuto ma popolare, e quindi anche molte persone che non conoscevano la fiera di Cannalonga all’interno della Regione Campania si sono appassionate a questo evento perché hanno capito che è un fenomeno storico unico in tutta Italia.
Ha parlato delle sue ricerche d’archivio. Quali sono gli Archivi di Stato che maggiormente ha consultato?
Ho consultato sette archivi, ma principalmente tre: l’Archivio di Stato di Salerno, l’Archivio di Stato di Napoli e l’Archivio comunale di Vallo della Lucania. Per quanto riguarda Vallo della Lucania voglio precisare che la fiera è stata gestita da Vallo della Lucania tra il 1928 e il 1946 in quanto in quel ventennio fascista Cannalonga è stata frazione di Vallo della Lucania e quindi la fiera era gestita burocraticamente dal podestà di Vallo.
Quali tipologie di fonti ha ritrovato?
Le fonti che ho ritrovato all’interno di questi archivi sono soprattutto atti notarili, ecclesiastici e fonti catastali. Per quanto riguarda i documenti notarili ho consultato tutti gli atti notarili del primo versamento del circondario di Vallo della Lucania tra il ‘500 e il ‘700. Sono fonti non catalogate che quindi ho dovuto leggere una per una: fonti molto spesso usurate, di difficile lettura, e mistilingui, sia in latino giuridico che in volgare. La maggiore difficoltà è stata il tempo materiale occorso per leggere questi documenti. Un atto notarile del 1584 è di tre pagine, l’atto nel quale è contenuto il termine frecanìa con il valore di mercato di oggetti poveri, alla base etimologica di frecagnòla, che è stato da me ricostruito nel giro di due mesi perché era in condizioni molto usurate sia nell’inchiostro sia nella carta e ho dovuto decifrarlo lettera per lettera. Serve sicuramente una grande preparazione paleografica e linguistica che io ho maturato negli anni del mio percorso accademico.
Il suo volume supporta la domanda presentata per ottenere l’iscrizione all’Inventario del Patrimonio Culturale Immateriale Campano (IPIC) della Fiera della Frecagnola.
Sì. Proprio attraverso questo studio ho compilato il questionario che è stato allegato alla richiesta da parte del Comune di Cannalonga di iscrivere la Fiera della Frecagnola all’IPIC, e siamo in attesa del decreto. Inoltre, il sindaco Carmine Laurito ha voluto inviare il volume alla Regione Campania per portare a conoscenza della Regione la pubblicazione di questo studio che certifica come non esista nessun’altra fiera in Italia con uno sviluppo storico-evolutivo come quella di Cannalonga.
I più noti fra i siti di ricerca online citano il suo libro in riferimento al termine frecagnòla.
A distanza di pochi giorni dalla pubblicazione questo volume è risultato nella Top ten dei libri di storia più venduti su Amazon e i siti Google hanno modificato le attestazioni relative alla fiera di Cannalonga, soprattutto da un punto di vista etimologico. Quindi è stato definito l’etimo scientifico che sarà pubblicato su una rivista scientifica nazionale nel cui comitato è presente anche il presidente dell’Accademia della Crusca. C’è stato un punto fermo chiarificatore scientifico circa un etimo che è stato sempre piuttosto discusso e che ora trova la sua certificazione precisa, puntuale e tecnica. Alcuni siti, come Wikipedia, e l’IA, riportano come etimo esatto quello di frecanìa con il suffisso -ola con il valore di mercato di oggetti poveri, in riferimento alla merce venduta. Ci tengo molto a sottolineare questo aspetto perché frecagnòla porta a livello etimologico l’identità rurale del Cilento, l’insieme di tutti quegli oggetti che venivano fatti a mano e commerciati durante le fiere e che oggi possono essere riscoperti, rivalutati anche nel resto d’Italia e del mondo. Investire nella frecagnòla oggi significa riscoprire e valorizzare il Cilento a livello globale.
Come è giunto alla definizione di frecagnòla?
Ho ricostruito linguisticamente l’etimologia di frecagnòla attraverso tre strumenti: la disamina della documentazione storica esistente, l’analisi della lessicografia e l’ascolto della memoria popolare, non soltanto tramandata a Cannalonga dagli anziani ma anche nei paesi limitrofi. Per quanto riguarda la documentazione, all’interno dell’atto notarile del 1584 sono riuscito a individuare frecanìa con il valore di insieme di oggetti poveri per quanto riguarda il lessico economico commerciale. Ma questo termine, stando agli studi lessicografici, assume diverse sfaccettature semantiche: a livello tessile può indicare la fibra fuoriuscita dall’attività della gramola, l’atto di maciullare il lino. Per quanto riguarda l’ambito culinario, frecanìa significa insieme di briciole, di pane o pasta. Per quanto riguarda la sfera erotica, il GDLI attesta gregàgnolo con il significato di pederasta, oppure in altre varietà linguistiche assume il significato di donna lussuriosa, oppure è legato al coito. Invece io ho trovato a livello geomorfologico un’attestazione che secondo me apre nuovi sbocchi di ricerca.
Quali possono essere possibili nuovi sbocchi di ricerca?
Nell’Archivio della Badia di Cava ho ritrovato un documento del 1179, quindi risalente al XII secolo, nel quale è indicato il toponimo frecagnòla in riferimento a una zona soggetta a possibili erosioni nelle pertinenze del monastero di S. Nicola della Palma. Siamo in un contesto lontano da Cannalonga, ma frecanìa indicava l’insieme dei detriti, delle briciole intese come detriti di matrice alluvionale. Ci può essere un’analogia con Cannalonga ma sarebbe da acclarare in maniera documentaria. Anche se non sono riuscito a trovare fonti di un collegamento, il Piano d’òrria alla fine dell’800 fu classificato come un territorio in pendio, soggetto a possibili frane. Questa zona si trova vicino al torrente Mennonia che nelle epoche passate portava delle piene con possibili cadute di massi, in particolare una, del 20 ottobre 1862, che ha portato lo smottamento della collina sovrastante con la caduta di massi fra cui quel masso che ancora oggi è visibile perché su di esso è stata costruita una casa, e che è stato inciso sul marmo, nella cappella di S. Toribio, perché c’è una leggenda secondo cui una donna vide S. Toribio che cercava di arginare le acque utilizzando questo masso. Chissà che nell’alto Medioevo frecagnòla non indicasse già le caratteristiche geomorfologiche del Piano d’òrria, dove c’era la chiesa e si svolgeva la fiera di S. Lucia. Del resto una ricerca scientifica è tale se, come già Dante Alighieri affermava, apre al dubbio e a nuovi possibili studi per il futuro.
A proposito di futuro. Il suo volume quali spunti può dare per il futuro della Fiera della Frecagnola?
Da un punto di vista storico e immediato sicuramente c’è una riscoperta delle radici antropologiche e culturali dell’evento perché frecagnòla etimologicamente rimanda a tutte le antiche arti e mestieri del territorio rurale. La frecagnòla deve essere ancora di più la manifestazione di punta di tutto il territorio a sud di Salerno e può farlo attraverso varie iniziative come la realizzazione di un docufilm dal titolo Frecagnola, con interviste a persone anziane che facevano arti e mestieri caduti in disuso. Anche la visione dei documenti che ho trovato, e non a caso in appendice ho inserito un apparato di 12 immagini, pubblicate con le autorizzazioni degli archivi e del Ministero della Cultura. In terzo luogo si possono fare delle scene teatrali. Ho pubblicato in appendice il monologo Inno alla frecagnòla, sia in dialetto che in italiano, e Angelo Loia ha deciso di musicare e cantare la tarantella della frecagnòla scritta da me e da Pasquale Alario. Si possono poi mettere in scena i documenti che ho trovato, ad esempio l’atto notarile del 1584 che è il contratto di apprendistato del dodicenne Giovanni Berardino De Ruocco, che non voleva pascolare bestie, avvenuto alla fiera di S. Lucia il 13 dicembre 1584 quando il padre fece un contratto con il calzolaio di Ceraso messere Solazzo de Solazzo che lo prese a bottega. Si potrebbero fare scene giuridiche, come il processo criminale all’abate Giovanni Bernardino Lembo accusato di aver sequestrato l’abate di Angellara detentore dei benefici della chiesa di S. Onofrio agli inizi del ‘500. Si possono fare iniziative di carattere commerciale: recuperare visivamente tutti gli oggetti della civiltà contadina venduti durante la fiera. Penso alla tessitura del lino, in particolare. Questa fiera può diventare attraverso questo libro un fenomeno alla portata nazionale e internazionale. Secondo me l’Ente Fiera dovrebbe fare proprio questo.
