A poche settimane dall’uscita su Amazon del suo ultimo saggio Storia della fiera di Cannalonga (SA) pubblicato dal Centro di Promozione Culturale per il Cilento, ho incontrato Aniello Amato, dottore di ricerca in Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e l’Università degli studi “Roma Tre”. La lunga intervista, che copre diversi ambiti, dalla ricerca condotta su fonti d’archivio a considerazioni sulla metodologia e approfondimenti, è divisa in tre parti ( la prima parte: https://www.unicosettimanale.it/storia-della-fiera-di-cannalonga-sa-prima-parte-dellintervista-ad-aniello-amato/ )
Il volume consta di due capitoli. Nel primo lei traccia il profilo storico di Cannalonga, dà informazioni sulla popolazione e su alcune famiglie di Cannalonga.
Sì. In particolare, sono riuscito a ritrovare diversi documenti relativi alla famiglia De Ticchio, una famiglia che si è estinta alla fine del ‘600 dopo la peste del 1656 e che fin dal ‘400 era molto potente. Una famiglia di vassalli, di probabili conciatori, che attraverso i rapporti di vassallaggio e attraverso gli introiti derivanti sia dalle terre di cui erano in possesso sia dall’attività commerciale che svolgeva è riuscita ad arricchirsi. Rispetto a questa famiglia ho trovato la prima attestazione nel 1491 nella platea dei censuari dell’abbazia di S. Maria di Pattano che ho trascritto integralmente per la prima volta e che sarà pubblicata nel prossimo autunno sugli ‘Annali storici di Principato Citra’. Una platea che costituisce uno dei documenti più antichi della badia. Ho selezionato anche 192 toponimi risultanti da questa platea e l’anno prossimo questo glossario etimologico dei toponimi sarà pubblicato su una rivista scientifica nazionale.
Nel capitolo primo approfondisce anche l’aspetto religioso: le visite pastorali intercorse fra il 1600 e il 1800, si sofferma sulla chiesa di S. Onofrio e sul culto della Madonna del Carmine.
Il primo capitolo è importante per cercare di capire il contesto storico, economico, demografico e sociale in cui si è collocata e si colloca la fiera di Cannalonga, che non è avulsa dal contesto storico. In particolare, essendo una fiera che, come tutte le fiere del Mezzogiorno, ha delle origini sacre, quindi è nata grazie ai pellegrinaggi che si svolgevano a S. Lucia il 13 dicembre nei pressi dell’antica cappella rurale in cui si venerava la santa, era importante tracciare un profilo religioso della zona e quindi ho menzionato tutte le attestazioni sull’antica chiesa di S. Onofrio, finora sconosciute a parte quella del 1698 riportata da Amedeo La Greca nel suo volume “Sant’Onofrio Anacoreta” del 2018. E poi ho riportato anche le notizie relative alla cappella laicale della Madonna del Carmine che si trovava nella chiesa S. Maria Assunta di proprietà della famiglia Laurito (gli antenati dell’attuale sindaco Carmine Laurito) a cui era connesso un pio monte, un insieme di fonti economiche che venivano utilizzate dalle donne nubili della famiglia Laurito per sposarsi. E ho ricosteuito la storia dell’antica cappella extra moenia, la cappella fuori dalle mura del casale dedicata alla Madonna del Carmine, che era diruta nel ‘700 e che nel 1826 è stata riedificata, ed è quella attuale. Il culto della Madonna del Carmine è quello più antico insieme a quello di S. Onofrio, ma il culto di S. Lucia, in particolare, è quello attraverso il quale è sorta e si è sviluppata la fiera che poi a partire dalla fine dell’800 è stata denominata frecagnòla.
Nel secondo capitolo parla delle origini della fiera di Cannalonga che un tempo si chiamava fiera di S. Lucia, per arrivare fino ai giorni nostri.
Ho individuato, in maniera del tutto inaspettata, quattro fasi evolutive di questa fiera, che non ha eguali. Non esiste nessun’altra fiera in Italia con un decorso storico evolutivo come quello di Cannalonga, tra le fiere e i mercati. Su questo sono concordi anche gli storici a cui ho mandato in anteprima il volume. Le origini della fiera di Cannalonga sono relative al culto di S. Lucia: dal basso Medioevo fino al ‘700 questa fiera si svolgeva il 12 e il 13 dicembre di ogni anno. Tutti gli abitanti della Baronia di Novi si riunivano a Cannalonga nella zona adiacente alla cappella rurale e lì commerciavano maiali neri, che oggi sono caduti in disuso nella nostra area, maiali che avevano una carne molto simile a quella del cingliale; e commerciavano anche prodotti artigianali. Attraverso un atto notarile del 1584 rogato proprio in occasione della fiera di S. Lucia sappiamo che venivano commerciate delle frecanìe. Frecanìa significa ‘insieme di oggetti poveri’: così è usato all’interno di questo documento e così è segnalato anche da Rohlfs nel “Nuovo dizionario dialettale della Calabria” del 1977, segno che c’era una certa diffusione di questo lessema. Quindi era un mercato legato agli oggetti, ai manufatti artigianali di cui contadini e pastori usavano rifornirsi in vista dell’inverno. Parlare oggi di frecagnòla, riscoprire il lessema frecagnòla, che porta proprio nelle sue origini etimologiche la civiltà rurale del Cilento, è un’opportunità per tutto il nostro territorio.
La fiera è stata ad un certo punto spostata a settembre. Quali sono i motivi?
A differenza di quanto sostenuto da Ebner, che io ho smentito in questo libro, la fiera non è stata spostata otto giorni dopo la fiera della Croce di Stio. La fiera fu spostata dai Mogrovejo, a inizio ‘700, alla terza domenica di settembre e durava circa cinque, sei giorni, e aveva inizio più o meno a una settimana dalla fiera della Croce perché se la fiera fosse stata spostata al 15 settembre come sostenuto da Ebner allora sarebbe dovuta cominciare già intorno all’11, 12. La fiera della Croce si svolgeva per antica consuetudine dall’1 all’8 settembre, quindi il lasso di tempo sarebbe stato troppo breve tra l’una e l’altra. I pastori e i contadini avevano bisogno di qualche giorno per spostare le mandrie e venire a commerciare qui. I Mogrovejo decisero di spostare la fiera a settembre per ragioni di opportunità economica e perché la fiera a dicembre era divenuta troppo isolata, e inoltre perché siamo in un periodo di desacralizzazione delle fiere. Sono tre i motivi principali. Il primo è quello dei cambiamenti socio-economici dell’evento, e farla a settembre dava opportunità di maggiore commercio, di commerciare maiali non grassi ma giovani che venivano venduti a coppia, e ogni coppia di maiali costava sei ducati. La seconda ragione è la desacralizzazione delle fiere e dei mercati che non sono più legate come nel Medioevo ai pellegrinaggi, per cui anche a Cannalonga la fiera non era più legata ai pellegrinaggi a S. Lucia perchè la chiesa non esisiteva più. Il culto si era spostato all’interno della chiesa parrocchiale dove fin dal 1698 è attestato un altare dedicato alla santa. Voglio precisare che la nostra chiesa parrochiale tra il ‘500 e il ‘600 si è si è estesa e diverse cappelle laicali sono state fondate proprio in quel periodo, dopo il Concilio di Trento. Questo ci fa capire anche le ragioni religiose di questo spostamento. In più, il terzo motivo è quello di opportunità. Le fiere nell’Italia Meridionale, in particolare nei territori marginali come il Principato Citeriore, formavano un reticolato, per cui c’era un calendario che i mercanti seguivano, spostandosi da una fiera all’altra. Se gli eventi fieristici erano troppo isolati c’era minore possibilità di commercio e quindi di sviluppo locale e di partecipazione mercantile, per cui la data della terza domenica di settembre sembrò strategica ai baroni di Cannalonga perché non era né tropoo distante né troppo vicina dalla fiera della Croce di Stio e dava l’opportunità di incrementare il commercio locale.
Qual è l’etimologia di frecagnòla?
Frecagnòla deriva da frecanìa, con il suffisso diminutivo -ola che sta ad indicare un mercato di piccoli oggetti poveri, di bassa qualità e di basso costo: tutto l’insieme degli strumenti, degli attrezzi, dei manufatti artigianali ad uso di contadini e pastori che vengono descritti in maniera dettagliata in una deliberazione del podestà Tommaso Torrusio di Cannalonga nel 1925, quando la tassazione per l’occupazione del suolo pubblico venne razionalizzata in base alle tipologie di commercianti e alla qualità e quantità di ciò che vendevano, ma erano tutti oggetti legati alla sfera agropastorale. Fra ‘700 e ‘800 c’è una rianalisi popolare di tipo semantico per cui frecagnòla perde il suo connotato originale e da nome collettivo diventa nome d’agente ad indicare non gli imbrogli nelle trattative ma le persone che potevano commettere piccoli atti truffaldini durante il mercato. Attraverso la memoria popolare che io ho ascoltato sia a Cannalonga che nei paesi limitrofi si trattava di persone che venivano alla fiera e raccattavano in modo illecito gli oggetti che venivano venduti, anche generi alimentari, oppure andavano nelle barracche e uscivano fuori senza pagare le vivande consumate, oppure tendevano a pagare meno il bestiame rispetto al prezzo stabilito. questi piccoli atti che alla fine sono un topos anche letterario a partire da Boccaccio che proprio nel “Decameron” parla della ‘ragion di mercatura’, cioè dell’atteggiamento dei mercanti di cercare di commettere dei piccoli imbrogli per far accrescere i propri profitti.
L’intervista continua nella terza parte…
