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    Percorso:Home»Cronaca»LAMPADODROMIA della MAGNAGRECIA  NON SOLO UNA GARA!
    Cronaca

    LAMPADODROMIA della MAGNAGRECIA  NON SOLO UNA GARA!

    Di Bartolo Scandizzo19 Luglio 20157 Min Lettura0 VisiteNessun commento
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    06072015_capaccio-capoluogo_03di Gaetano Ricco

    Il 5 di luglio 2015, si svolgerà, organizzata  dal comune di Capaccio, che ne è titolare, nella suggestiva area archeologica di Paestum, la undicesima “Lampadodromia della Magna Grecia”. Una manifestazione sportivo-religiosa che trova la sua origine nelle antiche feste delle “Efestie”che ogni anno, nel mese chiamato di “pianepsione” si svolgevano ad Atene ed erano dedicate al culto di tutte le divinità del fuoco con Efesto il signore che insieme ad Atena la Pallade e a Prometeo il titano ne comandava le celebrazioni. Le feste oltre ai riti religiosi, ai sacrifici, alle libagioni e alle processioni rituali comprendeva anche uno spazio “ civile” durante il quale si svolgevano appunto delle gare una tra queste, la più famosa, era, per il suo alto valore simbolico, appunto la corsa a squadre della“lampadodromia” che … quest’anno oltre alla città di Capaccio vedrà la partecipazione di molti altri paesi della chora pestana, tra cui Albanella.   

    Cantavano i miti e ne fu con la sua immensa bellezza (patrimonio mondiale dell’UNESCO) e la sua storia  la nostra fertile città di Paestum gran parte, che all’inizio del tempo senza vecchiaia gli uomini non conoscendo il fuoco traessero una vita molto dura  e quando poi l’inverno con le sue cento braccia avvolgeva la terra, tutto per gli uomini tornava nel buio e nello sconforto più totale e invano tentavano inutilmente al riparo nelle oscure caverne il calore che non c’era chè tutto d’intorno impietriva la fredda morte di quella ipogea stagione che narra del terribile dolore di Demetra“dalla spada d’oro” alla ricerca della figlia la bellissima Proserpina “dalle caviglie sottili”. Ma venne poi come per la madre Demetra anche per gli uomini il giorno della luce e Prometeo, il figlio titano di Giapeto e di Climene, impietositosi per tanta miserabile sorte decise di far dono agli umani del “fuoco” che Zeus invece, il re degli dei, aveva loro proibito:  qualche poeta scrisse per invidia alla sua condizione di mortale !  E fu così che introdottosi furtivamente nottetempo nell’Olimpo dal rotondo braciere del dio Elio rubò una favilla di quel sacro fuoco e dopo averla nascosta in una lunga canna vuota tornando sulla terra ne fece dono generoso agli uomini che venuti finalmente alla luce mai più l’abbandonarono avanzando ora e per sempre nel suo faticoso ma glorioso cammino di civiltà!                                                          E mentre gli uomini illuminati da tanto dono danzavano felici ringranziando e sacrificando al sacro altare di Prometeo, venne il re degli dei a fulmini e saette e colpendo il “traditore” che aveva troppo amato gli uomini e facendolo incatenare“in ceppi dolorosi e infrangibili” su una rupe del monte Caucaso in eterno lo ridusse, come canta il grande poeta Virgilio, al terribile supplizio di “un immane avvoltoio col rostro adunco/gli dilàcera il fegato immortale / e i visceri di duol sempre fecondi,/e gli si annida nel profondo petto/ e al pasto intende e senza posa rode /le fibre senza posa rinascenti” ma … dopo tremila anni, come narrava la perduta tragedia del “Prometeo liberato” di Eschilo, venne poi anche per Prometeovi il giorno del riscatto e passando da quella remota regione, il figlio di Zeus, il più forte dei terrestri, Eracle dal cuore di leone, vide il suo supplizio e si commosse e con una freccia trafisse uccidendo “l’immane avvoltoio” e spezzando quei “ceppi dolorosi e infrangibili” liberò Prometeo dalla sua dannazione consegnandolo alla ritrovata riconciliazione con Zeus e tra gli dei fu festa grande  quel giorno sull’Olimpo mentre sulla terra gli uomini raccogliendo per la operosa città di Atene la felice notizia si preparavano , inneggiando alla potente Atena “dagli occhi splendenti” a celebrare ora per sempre con Efesto, il signore del fuoco, la gloria di Prometeo e furono così ogni anno, all’inizio dell’autunno, le sacre feste “Efestie” . Cantava all’insigne artefice, signore del fuoco, Efesto, con gli ateniesi allora tutta la Grecia allora e Omero solennemente ne versava le parole: “Musa canora, canta Efesto dall’ingegno famoso,che con Atena dagli occhi splendenti ha insegnato opere splendide agli uomini sopra la terra. Prima essi vivevano sui monti, dentro caverne, come le fiere; ma ora, grazie agli insegnamenti di Efesio, l’artefice insigne, conducono una vita facile e serena dentro le loro case, principio alla fine dell’anno. Perciò siimi propizio, Efesto: dammi valore e ricchezza”… mentre  più in là nello stadio prendevano a svolgersi le  prime“lampadodromie” che, come abbiamo ricordato, erano delle corse a squadre, in cui i tedofori corridori, riconoscibili per una corona di ulivo sulla testa, a staffetta e per tratti stabiliti, dovevano trasmettersi accesa una fiaccola: vinceva chi, con la fiaccola accesa, arrivava per primo al traguardo ovvero ad accendere l’altare del dio. Il premio per il vincitore era un’anfora piena di olio mentre per la “tribù” (dieci erano, dopo la riforma di Clistene, le “tribù” di Atene e tante potrebbero essere, dopo la riforma di … anche oggi le “tribù” della chora!) che lo aveva sostenuto il premio era il nome scolpito, a imperitura memoria, nel marmo ella città … anche Roma poi venne a questo sacro culto del fuoco ed ereditandone lo spirito antico Romolo il fondatore fece nel Foro costruire un tempio rotondo che ancora oggi rimane a guardia di quel tempo lontano eppure vicino di quando il fuoco ancora prevaleva la vita ed era cardine assoluto alla società e per questo fin dall’inizio affidato alla cura e alla preziosa custodia di sei vergini sacerdotesse, chiamate Vestali ed… anche quando poi con il cristianesimo gli dei pagani passarono non passò però il culto antico del fuoco chè durando invece nella saggezza del vecchio adagio contadino  che recita che “chi  aveva il pane morì e chi aveva il fuoco campò” ancora resiste tutt’oggi ripresentandosi puntuale ogni anno quando, nella notte del 14 agosto, celebrando tutta la “chora pestana” la vigilia della antica festa della Madonna Assunta del Granato,i nostri contadini ed io con loro, la illuminano di mille e mille “falò” un rito augurale arcaico di primordiale, lontana ascendenza apotropaica che la nostra moderna “superbia tecnologica” non è riuscita ancora a cancellare!                                                                E non oserò certo oltre dichiarare con l’importanza del fuoco l’alto valore simbolico della fertile rievocazione storica a Paestum delle antiche “lampadodromie della Magna Grecia” se, anch’io, come il papa nella sua ultima enciclica“Laudato sì” mi rivolgerò al grande amore per il creato che ebbe San Francesco d’Assisi e alla sua poesia per ringraziare Dio del dono prezioso del fuoco, ricordando che a differenza di due o di tre aggettivi solitamente usati per le altre creature, solo per l’acqua e per  il fuoco ne avanzerà quattro. Scrive infatti San Francesco lodando Dio per il fuoco  :“Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,/ per lo quale ennallumini la nocte,/ et ello è bello et iocundo et robustoso et forte”… e inutilmente verranno dopo San Francesco altre parole chè il fuoco per tutti rimarrà solo e sempre solo : “bello et iocundo et robustoso et forte”. Rievocare allora quell’antico rito delle “lampadodromie” in cui la forza primigenia del  fuoco si identificava con la vita potrebbe, in un tempo in cui troppo velocemente abbiamo ridotto il fuoco ai nostri mille“motori  a scoppio” essere anche un modo nuovo e antico per far conoscere, promuovere e valorizzare con la storia l’economia di un territorio che merita di guardare al futuro con più altezza, non mai, come cantava quell’eccellentissimo greco, dimenticando che: “anche noi, sfortunati, un tempo tenemmo radici greche!”

     

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