“Dio, è tale che non possa ammettere alcuna aggiunta; conseguentemente, proprio in base alla sua stessa purezza, è un essere distinto da ogni altro essere”

Epistola a Tommaso

Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i principi naturali della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità

Cultura
Cilento lunedì 17 gennaio 2022
di Gaetano Ricco
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San Tommaso D'Aquino © Unico Settimanale

Epistola

XLIX – LXXXIV

Si vanti pure e gridi alto di Tommaso la magnifica città di Roccasecca il nome!

A Tommaso (Roccasecca,1225 –Abbazia di Fossanova, 7 marzo1274) figlio di Landolfo della città di Roccasecca, che“Aristotele conciliò con Cristo”, il mio saluto!

EPIGRAFE

Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tut­tavia i principi naturali della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità.

                                                     (Tommaso d'Aquino, “Summa contra gentiles”)

 

Ed anche per te, maestro Tommaso, figlio di Landolfo della città di Roccasecca, che Aristotele conciliasti con Cristo, canterò il mio canto … stava per scendere la sera sul castello d’Aquino e da quando lo svevo imperatore di cui il Nostro di Eboli scrive “con te germoglierà la pace … gli uccelli non avranno più paura del aquile, le mandrie del leone, e le nostre greggi non avranno più timore” gli aveva consegnato il titolo di “Giustiziere della Terra di Lavoro”, Landolfo dei conti d’Aquino, come ogni sera, stava ordinando i turni di guardia, quando, compiendosi la profezia di quel tal frate eremita che a sua moglie Teodora, ignara della sua gravidanza aveva predetto “giosci madonna, perché tu sei incinta e partorirai un figlio che chiamerai Tommaso … egli sarà frate dell’Ordine dei Predicatori e rifulgerà per tanta scienza e santità di vita che nessuno potrà trovarsi nel mondo tra i suoi contemporanei da reggergli a confronto”, un vagito  attraversò il castello e tu, maestro,Tommaso, al mondo germogliasti ” splendore e novello fiore” . Non passarono pochi anni che come la profezia tornò a “toccarti” nuovamente la potenza di Dio. Infuriava la tempesta quella notte sulla rocca di Aquino quando un fulmine, colpendo la stanza dove con la tua sorellina dormivi, se la rapì e tu di fianco illeso, nella grazia di Dio,crescesti“ di grande corporatura, di statura alta e diritta, quasi un riflesso della rettitudine dell'animo… dava pertanto l'impressione che Iddio gli avesse preparato un corpo con organi di tanta nobiltà che fossero docili all'esercizio della virtù” cui mai volesti rinunciare. Ed a nulla valsero di tuo padre le opposizioni nè le tentazioni di quella forzata prigionia, chè tutto, maestro, era già stato scritto e presto, nel tempo in cui  tra l’imperatore che “sapeva leggere, scrivere e cantare, e comporre canti e poesie” e quel papa che una volta gli fu amico, regnava la pace, tu, maestro, con la benedizione di tuo padre, verso quella novella Università che l’imperatore che “fin dalla  giovinezza aveva sempre cercato la conoscenza, aveva sempre amato la bellezza  e ne aveva instancabilmente respirato il profumo”, all’uopo di buone leggi, aveva fondato, ti incamminasti, principiando il tuo fecondo cammino. Cominciavano allora, in quella università, oltre agli arabi “Commenti” a circolare del “ maestro di coloro che sanno” le traduzioni di colui che al divino poeta apparve“ne' fianchi è così poco” e tu, maestro, raccogliendo che “la conoscenza comincia dai sensi”,dalla natura volesti cominciare e … celebrando tra la ragione e la fede “consenzienti”  il loro matrimonio, chiedesti di vestire l’abito domenicano e ritirandoti dal mondo nel silenzio fecondo dello studio e della preghiera ti immergesti, sposando Cristo con Aristotele, e … fu, maestro, la tua vera gloria se, ancora in Santa Maria Novella, con Ario e Sabellio, piange la tua “Summa” Averroè!

 

 

Ed, in verità, tanto in alto si levarono, in una profezia del tuo maestro “Magno”, mai così vera, i tuoi “muggiti” (per il tuo carattere taciturno e silenziosi i tuoi compagni ti avevano soprannominato il “bue muto”) che ne risuonò “l’una e l’altra estremità del mondo”. E fu alla Scolastica vera gloria la tua sapienza ed il suo apogeo, se prima in Parigi, dove, ancora “baccelliere”, il tuo maestro “Magno” ti chiamò di quel tal Pietro,che come “la poverella offerse a Santa Chiesa il suo tesoro” a commentare le “Sentenze” e poi ancora “magister”  su quella “cathedra” di teologia che fu anche del tuo compagno “mendicante” con il quale, non solo in Paradiso vi voltaste le lodi ma anche le accuse di quel tal di Santo-Amore che in cattedra voleva solo il clero, e poi, ospite di tua sorella Teodora nel castello dei Sanseverino, nella nostra Salerno che coltivando allora il suo “fiore” tanto si onorò delle tue lezioni e di quella tua sapienza di cui ancora oggi risuona tutta la filosofia, se …con la chiesa in testa molti ancora vennero alla tua parte per cercare risposte, uno per tutti… quel grande saggio di Germania, che “gettando” l’uomo nel mondo, ancora continua con il suo ”Essere e Tempo” ad interrogarci!

E fu così, maestro, che all’inizio di quel tuo cammino di ascesa verso quel Dio, che, ammonisci, non possiamo non conoscere se non “quando lo crediamo superiore a quanto l’uomo è capace di pensarne” tu ponesti la ragione e contro di coloro, che “averroisti latini” la negavano, con forza affermasti la possibilità di conciliare la ragione con la fede e caricandoti della “vexata quaestio” chiamasti per quelle verità preliminari ,come l’esistenza di Dio, che chiamasti “i preamboli della fede” a servire la fede e la fede a sua volta a confermare ed ad aiutare la ragione e fu vera gloria alla chiesa Aristotele “sposato” con Cristo!

E accogliendo del tuo antico maestro l’ idea che la “sostanza” sia una sintesi,  un “sinolo” tra materia (ciò che è mera potenza) e forma (ciò che porta all'atto la potenzialità della materia) nel tuo saggio “De Ente et Essentia, che qualcuno ha definito il tuo “Discorso sul metodo”  ti portasti avanti e nell’ulteriore differenza che passa tra “essenza ed esistenza” che fu già di colui che al“Libro della Guarigione” affidò la su fama, ed assegnando all’“essenza” la “potenza” che dentro “comprende tutto ciò che è espresso nella definizione della cosa” quella“quiddità” per cui ogni essere esistente è quello che è, e di contro all’“esistenza” l’ “atto” dell’essenza, che mai però può avvenire se non con l’intervento di “Dio, la cui essenza è lo stesso suo essere [...] Dio, è tale che non possa ammettere alcuna aggiunta; conseguentemente, proprio in base alla sua stessa purezza, è un essere distinto da ogni altro essere”… quel Dio di colui “che il gran commento feo” era di contro mancato. Ed“atto puro” di ogni essere, “creatore” tu lo facesti dall’” essere creato” separato e nella“differenza” di quel principio della graduale“partecipazione all’essenza di Dio”  non “identico” a lui stesso lo ritenesti ma solo “analogo”, oltre superando quel subdolo “panteismo”, di cui alcuni tuoi detrattori pure ti accusarono, avanzasti ed affermando che “la fede non annulla né rende inutile la ragione” né “elimina la natura ma la perfeziona” anticipando di molti secoli gli “iuxta propria principia” del grande calabrese, coerente  con quello tuo primo principio che “nulla è nell’intelletto che prima non fu nei sensi” negasti di colui che santo nell’affermare che Dio è “ciò di cui non si può pensare il maggiore” aveva tratto la sua esistenza, oltre ti spingesti e superando “salto ontologico” del santo del “Proslogion”, alla “ragione” ti rivolgesti e per quelle che, non furono mai prove ma solo vie, al mondo donasti le tue “cinque vie”,  i “fiori” più preziosi di quella tua “Summa” teologica in cui raccogliendo le tue argomentazioni così,angelico maestro,ti spandi: “la prima via e più manifesta è quella che parte dal movimento. È evidente, in­fatti, e i sensi ce lo attestano, che in questo mondo alcune cose si muovo­no … se una cosa si muove, bisogna dire che essa è mossa da un altro. Che se poi la co­sa che muove si muove a sua volta bisogna che essa sia, a sua volta, mos­sa da un altro e questo da un altro ancora. Ora non si può procedere così all’infinito… dunque è necessario giungere ad un motore primo che non sia mosso da nessun altro: ciò che poi tutti noi chiamano Dio” (queste ultime parole saranno la chiusa a tutte le cinque vie), quel “motore” che il divin poeta stringe e canta come “la gloria di colui che tutto move / per l'universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove” e fu, maestro, questa la tua prima. “La seconda via si desume dalla nozione di causa efficiente. Noi consta­tiamo nell'osservare le cose sensibili che vi è un ordine tra le cause effi­cienti, ma quello che non si trova e che non è possibile sia è che una cosa sia causa efficiente di se stessa perché ciò la farebbe anteriore a se stessa; il che è impossibile. Ora non è neppur possibile risalire all’infinito nella serie delle cause efficienti …bisogna, dunque, ammettere, necessariamente, una qualche causa efficiente prima: ciò che poi tutti noi chiamano Dio. Osservando poi di tutte le cose la“contingenza” così continui, “la terza via si desume  dal possibile e dal necessario. Tra le cose, infatti, noi ne troviamo di quelle che possono essere o non essere; la prova si è che certe cose si generano e si corrompono e, per conseguenza, possono essere e non essere” ma sempre però resta a monte dimostrato il principio che ogni cosa “non incomincia ad esistere se non per opera di ciò che è … e non è possibile procedere all’infinito…dunque bisogna ammettere un qualche cosa che sia necessario per se stesso e che non abbia la causa della propria necessità fuori di sé, ma sia causa della necessità delle altre cose:ciò che poi tutti noi chiamano Dio”. Giunge poi “la quarta via procede dai gradi che si riscontrano nelle cose” e nel loro desiderio di realizzarne il “maximum” e di conseguenza bisogna ammettere che deve esserci “qualcosa che è sovranamente vero, sovranamente buono, sovranamente nobile e, per conseguenza, essere in grado sommo… e quindi, qualche cosa che è, per tutti gli esseri, causa di essere, di bontà e di ogni perfezione ciò noi chiamiamo Dio.

che è, per tutti gli esseri, causa di essere, di bontà e di ogni perfezione: ciò che poi tutti noi chiamano Dio”. Ed infine la “quinta via”, l’ultima “che risale a Dio dal governo delle cose. Noi vediamo, infatti che le cose prive di cognizione, ossia i corpi naturali agiscono per un fine … ma quelle cose che non hanno cognizione non possono tendere ad un fine se non perché indirizzate da un essere che conosce ed ha l'intelligenza come la saetta dell'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine ... ciò che poi tutti noi chiamano Dioe del quale, grazie alle tue vie, maestro, ora “razionalmente” ne avvisiamo l’“esistenza”, ma non ancora l’”essenza” che di contro si rivela solo a chi crede, ovvero a chi ha “fede”, essendo quelli che tu chiamerai i suoi “articoli di fede” alla ragione impenetrabili, se non per… qualche “apofatica” scintilla.  Ed a chi ti domandava “che cosa fosse la fede” così “col dire che Agostino ha dato una descrizione sufficientemente chiara del credere” rispondevi dicendo che “credere” non è altro che un “pensare con assentimento” (cogitare cum assensu) poiché, come scrisse san Paolo, la fede è “la prova delle cose non vedute”.

Ed oltre l’apostolo che per credere volle “toccare”, tu, maestro Tommaso, per contro credeste e la fede per  la“rivelazione” e la ragione per il “il lume naturale”, entrambi li ritenesti“doni della grazia di Dio” e fonti di“verità” vere non mai tra di loro in contraddizione, chè anzi, con umiltà “assentendo”, tanto avanzasti nella loro concordia da affermare che“se talvolta  nei detti filosofici si trova qualcosa di contrario alla fede, questo qualcosa non appartiene alla filosofia, ma è un abuso della filosofia per difetto di ragione”. E tanta, maestro, fu alta, dimostrata ed argomentata tale concordia tra la fede e la ragione che, narra il tuo biografico di Tocco, chiamato da quel re di cui il divin poeta scrive“venne in Italia e, per ammenda, vittima fè di Curradino” nella sua nuova capitale ad organizzare uno “Studium” di teologia, il Crocifisso stesso ti parlò dicendo “bene scrivesti di me, Tommaso, cosa vuoi in cambio? E tu, in umiltà di figlio, rispondesti “nient’altro che te, Signore” e tanto ti bastò. Se, continuando poi il tuo biografico, inaspettatamente rapito da una visione, comandasti al tuo fedele Reginaldo di riporre gli strumenti per la scrittura, non più dettasti né scrivesti nessuna linea, altrimenti attendendo solo alla preghiera ed a quel silenzio che tanto amavi ed in quella quiete del chiostro che fin dalla fanciullezza ti aveva attratto avresti voluto continuare e nel tempo del Signore consegnare la tua vita, ma… altro aveva in serbo per te la Provvidenza. E fu così che preparando quel papa, che il“Conclave” renderà obbligatorio, in Lione il suo concilio, insieme a colui che“ad inveggiar cotanto paladino” dalla tua “infiammata cortesia” e “discreto latino” fu mosso, ti chiamò a convenire e tu, maestro, obbedendo presto insieme al tuo fedele Reginaldo ti rimettesti in cammino, chè molto ancora avresti la tua Madre Chiesa potuto “impinguare” e forse, come il sommo poeta fa stillare, dare alla nostra amata terra meridionale un re migliore. Se quel Carlo che del “seme innocente” di colui che“se l’onestà, l’intelligenza, le più alte virtù, la saggezza, la buona reputazione e la nobiltà del sangue potessero resistere alla morte… non sarebbe mai morto”,si fece carnefice, temendo per il suo regno, lungo la strada con l’inganno non ti avesse “al cielo ripinto” tu, maestro, che la ragione avevi fatto con la fede dialogare, come già il tuo Signore, anche tu, dalla tua croce perdonando, nelle mani di Dio riponesti la tua anima e serenamente in silenzio pregando, come era tuo costume, abbandonasti questo mondo per salire in quel cielo dove, santo e dottore, tra “color che sanno” eternamente ruoti in quella radiosa corona dalla quale uscendo … a colui che in “deviai dal cammino” celò il suo poema, così ti rivelasti: “io fui de li agni de la santa greggia /che Domenico mena per cammino /u’ ben s’impingua se non si vaneggia. /Questi che m’è a destra più vicino, /frate e maestro fummi, ed esso Alberto /è di Cologna, e io Thomas d’Aquino” e che, come già si tenne in quel tal “romanzetto, ove si tratta di Promessi Sposi”, io, indegnamante, raccoglierò a“congedo” di questa mia epistola per te, maestro Tommaso!

 

Questo maestro, un altro epigramma per te “Qui dove sotto l’arca di Tommaso dorme Aristotele, tiene Dio le sue cinque vie.”

 

Questo, maestro, nel giugno con il sole, l’estate ed il suo vate ... il fiore che ti porto!

 

Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di domenica 7 giugno dell’anno del Signore 2021

 

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