Lo hanno chiamato “segreto” per quelle intime emozioni che sa dare madre natura, per quei profumi e colori che ogni anno ritornano a delizia dell’animo. Tutto è stato pensato, creato, faticato da Antonio De Marco, sua moglie Enza

Il giardino sfregiato

Poi la barbarie di qualcuno, operai tangheri che entrano con prepotenza nel “giardino”, scavalcando la recinzione: tagliano, distruggono la vita: uno sfregio all'anima.

Ambiente
Cilento giovedì 14 maggio 2020
di Vito Pinto
Immagine non disponibile
Glicini, nel Giardino Segreto dell'anima © Unico

Lo hanno chiamato “Giardino segreto dell’anima” quel luogo creato a trionfo di natura, che si snoda a terrazze digradanti verso la valle delle ombre lunghe tra le cime dei Monti Lattari dove l’occhio ha ritaglio di sguardo sul mare di Ulisse ed Enea e sul quale sostarono «le vele cortesi della Repubblica, “tavole” di paziente e antica civiltà», a ricordo di Salvatore Quasimodo e del suo “Elogio di Amalfi”. Lo hanno chiamato “segreto” per quelle intime emozioni che sa dare madre natura, per quei profumi e colori che ogni anno ritornano a delizia dell’animo gentile che qui indugia a godere uno stacco di pace nel tempo convulso della vita.

Lasciata la Costa a Maiori, la strada a curve e tornanti sale verso Tramonti sino a quota 450 metri in un paesaggio che avvolge l’anima e il corpo con la sua aria di fresco: intorno è un trionfo di limoni, di viti e di verde diffuso. E’ difficile trovare questo Giardino di Antonio De Marco ed Enza Telese, nessuna segnaletica, tutto è affidato alla cortesia dei paesani.

Il luogo è Campinòla, poche case raccolte intorno ad uno slargo, pulito e ben curato, a formare uno dei tredici borghi montani di Tramonti. Su l’area piccola chiamata “piazza” è il nobile portale settecentesco della palazziata casa Telese, con il suo privato giardino pensile a calpestio di cotto tra bianchi muretti ad esedra conclusa, luogo di silenziose letture, operosi ricami, dosate conversazioni, meditazioni dell’anima. All’affaccio è il sottostante cancello affiancato da lunghe siepi, custodi alla vista del luogo cercato. Ritorna alla mente la voce di Quasimodo: «Qui è il giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare, sospesa sulle foglie degli aranci e dei cedri sontuosi negli orti pensili dei conventi».

E’ stato pensato e creato una ventina di anni fa riprendendo un vecchio vigneto abbandonato a conquista di rovi. E fu la sfida di Antonio ed Enza contro l’abbandono e il cemento dilagante, la caparbietà per creare il bello di una siepe, un cespuglio di rose, un’aiuola di dalie e amarillis, un pergolato di profumato giallo-oro maggiociondolo a racemi penduli sui cui petali sottili pennellate brune sono a corona di bellezza.

Una piastrella in ceramica collocata su di un pilastro di ingresso recita: «Puoi vedere, odorare, gustare, toccare e forse udire la mia felicità, ma prima devi imparare a capire, conoscere e amare». Ecco l’essenza di questo Giardino, che ti accoglie a dominio di glicini in pergolato da stordirti con i profumi di ben 12 varietà e inebriarti con la loro sospesa bellezza.

Lo sguardo spazia su siepi rigogliose di rose, oltre 300 varietà che la signora Enza conosce una per una, chiamandole per nome quasi fossero sue figliole, ragazze-fiore del magico giardino di Klingsor, trovato da Wagner a Ravello nello splendore di Villa Rufolo ad affaccio d’infinito.

Le emozioni che si avvertono nel proprio intimo lo fanno il “giardino dell’anima”, a confini di palpiti, di silenzi incantati, di ombre dimidiate, di “stanze” e terrazze dove le armonie di cromie e profumi solfeggiano tra spalliere di legno castagno, erbe aromatiche e rari esemplari di betulle siberiane. E’ un Museo diffuso della natura dove si è attenti all’uso razionale dell’acqua, al compostaggio, alla concimazione naturale, al riciclaggio dei materiali di risulta. Nulla di ciò che la natura produce viene distrutto, tutto è riutilizzato, persino la cenere delle frasche, a trionfo di Antoine-Laurent de Lavoisier e del suo “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.

Una panchina in un piccolo gazebo è invito ad un dolce far niente tra profumi di mente in 15 varietà ed esaltazioni di basilico in 7 specie. Un’altalena rimanda la mente a lontani anni di un tempo che fu.

Il luppolo è sovrano tra una danza di ortensie; sotto l’ulivo è un’aiuola a fiori misti; nel sottostante terrazzo è una cascata di rosmarino e lantane; un bellissimo cistus fa compagnia ad un pistacchio e alla rosa “Regina di Danimarca”. Una chorisia speciosa introduce alla stanza degli agrumi, con le sue 23 varietà di limoni e aranci e poi il chinotto, il bergamotto. E’ un omaggio a Gertrude Jekyll la stanza delle magnolie, mentre il profumato, lieve raccolto viola di lavanda rimanda al Giardino di Ninfa, già noto a Ferdinand Gregorovius; più in là svettano gli agapanthus, fiore dell’amore; la rosa Mermaid condivide lo spazio con una pergola di Tintore e di Per ’e Palummo a rispetto dell’antico sito a vigneto. Tripudio della natura dove sarebbe normale girare in smoking.

Nessun architetto botanico, tutto è stato pensato, creato, faticato da Antonio De Marco, sua moglie Enza Telese e il loro figliolo Giancarlo.

Un nespolo del Giappone occhieggia con lamponi e more, più oltre il cotinus mostra la sua inflorescenza, impalpabile come nuvola di fumo…

Poi la barbarie di qualcuno, operai tangheri che entrano con prepotenza nel “giardino”, scavalcando la recinzione: tagliano, distruggono la vita di quattro alberi di terre lontane, perché tra dieci anni avrebbero potuto toccare i fili dell’alta tensione, sospesi su alti tralicci in ferro e cemento: uno sfregio all’anima.

Col tono garbato di gentiluomo qual è, Antonio De Marco dice: «Non ne avevo voluto parlare finora, attuando una specie di anestesia del dolore fisico e mentale, ma ora dopo due mesi e mezzo desidero rendere partecipi quanti a Tramonti o altrove sanno capire il senso più intimo del dispiacere personale e del danno morale ma anche dell’importanza della bellezza come “la via più sicura per seguire i percorsi del dolore". Ma proprio in questo periodo di forzato e doveroso isolamento sanitario, il cuore e la mente, assimilando in parte il dolore, portano a dichiarare pubblicamente un sogno che si vorrebbe condiviso. A dieci anni esatti di tempo, che non sono riusciti ancora ad alleviare il senso di disgusto e confusione, gli operai incaricati della manutenzione delle linee elettriche, si sono nuovamente e indebitamente introdotti nel “Giardino Segreto dell'Anima” di Campinòla a Tramonti, senza alcun preavviso e scavalcando la recinzione. Ma non per cogliere lo spirito e le suggestioni che il “Giardino” poteva offrire, quanto piuttosto per operare una dissennata capitozzatura di pregevoli essenze botaniche la cui rigogliosa vegetazione forse, fra una decina d'anni, avrebbe raggiunto i fili elettrici sovrastanti».

Parole, quelle di De Marco che racchiudono tutto il senso cupo dello sfregio. Non solo l'indebita intrusione in luogo privato rinnovando un ignobile gesto già compiuto dieci anni fa, ma soprattutto la cieca e inconsulta visione di una realtà tanto delicata e pacata quanto fortemente significativa dal punto di vista botanico, ambientale e soprattutto umano.

Quattro piante di alto valore devastate dall’ottusità umana: un raro Aesculus Hippocastanum Rubra che agli inizi di maggio si colora di fiori color rubino e bianchi e che crea a terra un autentico tappeto variopinto, due esemplari di Betula utilis Siberiana portati da De Marco dall'Austria e unici per la Costa d'Amalfi, una vigorosa Melia Azedarach conosciuta anche come "albero del rosario" che si carica di grappoli spettacolari dai cui fruttini si ricavavano i semi utilizzati per comporre le coroncine del rosario.

E oltre allo sfregio, un danno economico non irrilevante: una pianta tagliata in modo improprio è perduta nel contesto di pregio qual è il “Giardino Segreto dell'Anima”, botanico-sperimentale di Tramonti.

Non pochi, in questi anni sono stati gli interessi della stampa internazionale su questo luogo dove la natura verzica in una sorta di parco protetto, testimonianze di affetto che, in qualche modo, possono dare sollievo all’animo lacerato di Antonio De Marco ed Enza Telese. Sperando che, come spesso accade, non sia una ulteriore, leopardiana "strage delle illusioni".


Vito Pinto

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