EPISTOLA LII – LXXVI Si vanti pure e gridi alto di Maestro Eccardo la magnifica città di Hochheim il nome!
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SCVOLA DI ATENE

PREGHIERA ECCARDIANA No,non sono io,o mio Signore,ma tu che riempiendo il mio vuoto mi fai Dio!

Cultura
Cilento domenica 15 gennaio 2023
di Gaetano Ricco
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Gaetano Ricco © Unico Settimanale

 EPIGRAFE

Devi sapere che il vero distacco consiste solo nel fatto che lo spirito permane tanto insensibile a tutte le vicissitudini della gioia e della sofferenza, dell’onore, del danno e del disprezzo, quanto una montagna di piombo è insensibile al vento leggero…io dico inoltre: tutte le preghiere e le buone opere che l’uomo può compiere nel tempo, turbano poco il distacco da Dio,quanto lo turberebbe il fatto che mai si siano compiute nel tempo preghiere ed opere buone.

                                                            (Maestro Eccardo, “Del distacco”)

 

Ed anche per te, maestro Eccardo, figlio della città di Hochheim che“del distacco ne facesti gioia errante fino a Dio”… canterò il mio canto e tu che sant’Agostino dice per essere maestro “hai posto la tua sedia nel cielo” soccorrimi  e fai “salire” questa mia epistola e per quell’ ”anima” che tu dici “Egli ha fatto non solo secondo l'immagine che è in lui, o secondo quel che fluisce da lui e quel che si dice di lui, ma molto di più: l'ha fatta secondo se stesso, se­condo tutto quel che egli è, la sua natura, il suo essere” rendimi alla tua misura favorevole e come quell’”uomo di nobile stirpe che partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale” anch’io con te, maestro, mi equipaggerò e sarò tuo discepolo fedele. E per te che sul “sentiero senza strada”, superando ogni inciampo, camminasti per tornare in quella prima“quiete” dove ogni uomo prima che“per sua libera decisione” ne uscissi per prendere il suo essere creato, era “nella sua causa prima” e “ciò che voleva lo era e ciò che era,lo voleva,e stava libero da Dio e da tutte le cose”  aiutami a tornare. E quel tuo Dio che “prima che le creature fossero” dicevi non urgeva, perché “Dio non era Dio, ma era quello che era …un Dio non-Dio, un non-Intelletto, una Non-Persona, una Non-Immagine … un Dio Uno puro, chiaro, limpido, separato da ogni dualità” sia per te, maestro, la mia meta. Il tuo Dio Uno che venendo di lontano da quel figlio di Licopoli che per Platone che lo consegnò al vescovo di Ippona e per lui a Boezio  ma che, per quel tuo grande amore per le “Sacre Scritture” che ai tuoi “incipit”  furono “nutrimento” quotidiano, tu lo leggesti di molto prima in quel Paolo di Tarso quando scrivendo agli Efesini  affermava che “un solo Dio e padre di tutti, benedetto al di sopra di tutti, attraverso tutti ed in noi tutti” ed omettendo volutamente “la paroletta “è” che racchiude in sé un cambiamento” con ciò intendeva che “Dio è Uno in se stesso e separato da tutto. Dio non appartiene ad alcuno e nessuno gli appartiene; Dio è uno. Boezio dice: Dio è Uno, e non muta. Tutto quel che Dio ha creato, lo ha creato; soggetto al mutamento. Tutte le cose, in quanto create, portano sulle spalle la mutabiltà. Questo vuol dire che noi dobbiamo essere Uno in noi stessi e separati da tutto ,costantemente immobili ,dobbiamo essere una sola cosa con Dio. Al di fuori di Dio non v'è che il nulla”. Un Dio unico ed immutabile che per il suo ineffabile mistero, tu dicevi e fu l’accusa dei maestri Scolastici che alla ragione si rivolgevano, “devi amarlo in quanto è un Non-Dio, un Non-Intelletto, una Non-Persona, una Non-Immagine…non intellettualmente” perché “fino a quando la tua anima è intellettuale essa ha delle immagini; finché ha delle immagini, ha degli intermediari… tutto ciò sparirà” e mai, ammonivi, maestro, si potrà addivenire a Dio, e come “da qualcosa al niente … sprofondare nel punto centrale dell’anima”, dove in quel culmine, che chiamerai “apex mentis”, ossia apice della mente, raccogliendo ed annullando ogni differenza riconosceremo tutte le cose e noi stessi un puro nulla” in quell’estasi  che, come il divin poeta canta ”intender non può chi non lo pruova” e che solo la pratica quotidiana e costante dell’abbandono progressivo del mondo che fu il tuo “distacco” ci può veramente guadagnare. Un distacco che “quanto a me” scrivevi, maestro,“io lodo più di ogni amore. Prima di tutto per questo motivo: ciò che di meglio vi è nell’amore è che esso mi ob­bliga ad amare Dio, mentre il distacco obbliga Dio ad amare me. Ora, è molto più nobile ob­bligare Dio a venire a me che non obbligare me ad andare a Dio. E questo perché Dio può congiungersi più intimamente a me e con me unirsi meglio di quanto io non possa fare con lui” . E del quale Marco Vannini, nel commento ai tuoi “Sermoni tedeschi”, scrive che prima di essere però “una operazione morale” è una operazione ancora razionale. Perché”, continua,“la capacità di essere veramente liberi, non dipendenti dai contenuti e dalle cose, passa per la comprensione. Il mistico, scrive Hegel, indicando l’essenza di questa mistica … è infatti la capacità di padroneggiare l’indentico ed il diverso,il sì ed il no, i due versanti della contraddizione” una operazione di assoluta teoresi mentale che scandagliandosi nei recessi più profondi dell’abisso dell’essere, fa si chè libera senza impedimenti “l’anima entri nella luce della ragione” dove accecandola l’abbaglio di Dio “non sa più niente dei contrari” ed ogni cosa si annulla in quella primitiva unità senza separazione che fu il tuo Dio Uno. Un Dio che “rinascendo” molti secoli nella potenza creatrice di un ”Io” tanta materia diede, tra i più grandi, ai quei tuoi tre filosofi che “padri” dell’‘”idealismo” si segnaro ma di contro furo soltanto “figli” tuoi !

Continua Vannini “molti pensano di dover compiere penitenze esteriori, digiuni, opere di misericordia per arrivare a Dio. Non c' è nulla di più falso” perché“la sola, vera penitenza consiste nell'abbandonare completamente, in noi stessi e nel mondo, tutto ciò che è altro da Dio”. Un distacco, in un tempo che non fu tempo, che fu già del Figlio di Dio, quel giorno, che venuto sulla terra, nella casa delle due sorelle, interrogato rispose “chi vuol essere puro e in pace, deve possedere una cosa: il distacco”. Quel distacco, e sei tu ora, maestro, che quando è vero “lo spirito è insensibile alle vicissitudini della gioia e del dolore, del disprezzo e del danno, quanto una montagna di piombo è insensibile a un vento leggero. Perché il distacco non ha oggetto, e… chi ha Dio dentro di sè è congiunto a Dio e … dunque non può chiedere a un altro... Dio non si commuove”. Né di Lui che “in bilico su un crinale tagliente ove col versante dell'essere scoscende dall'altra parte quello del nulla” alcunché si potrà proferire, perché, come la tradizione apofatica di Dionigi ed oltre comandava, egli è “sine modo”, senza qualità, senza “categoria” avrebbero detto i filosofi e nessuna parola umana mai avrebbe potuto “squadrarlo”, chè chiuso nel suo mistero impredicabile solo la vera “povertà di spirito” avrebbe potuto svelare e penetrare. Ma non quella povertà che a “chiunque avrà lasciato casa, fratelli, sorelle, padre, madre, moglie, figli o campi per amore del mio nome” Matteo prometteva il “centuplo”  ma quella che, come il grande di Konigsberg che alla tua fonte attinse, si faceva senza un “fine”, senza uno scopo, perché, ammonivi, maestro, “se tu ti distacchi da qualcosa per il centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla ... tu devi abbandonare te stesso completamente, ed allora sei veramente distaccato”  tanto che “se ora uno mi chiedesse cosa dunque è un uomo povero, risponderei così, un uomo che vuole avere la vera povertà … deve essere così vuoto della propria volontà creata così come lo era quando non esisteva”. Una povertà quindi “vuota” ”  non come quella di coloro  che tu, maestro, chiamavi “asini”,che nulla comprendono del “senso proprio della verità divina” rimangono “aggrappati al proprio io”  ma assolutamente “umile” e senza alcuna superbia perché potresti in verità abbandonare un regno o il mondo intero ma se mantieni te stesso, tu non hai abbandonato niente” .“Beati sono i poveri di spirito, loro è il regno dei cieli” recitava dell’ “incipit” di uno dei tuoi più alti ed intensi sermoni, il messaggio che tu, maestro, tra i chiostri e furono quarantasette quelli affidati che alla tua “cura” e le vie affollate della tua amata Turingia, spargevi tra il popolo più povero, dove, in agguato con l’eresia spesso si consumavano le “sante vite” delle “beghine” e per tutti fosti “maestro Eccardo, il predicatore”, colui che, tra i tre “mistici” di cui la tua Renania si coronò, si erse il più grande!

E se poi informato per quel tal tuo vescovo di Colonia di “spargere zizzania” nella chiesa, quel “Mida di Avignone” che “sol per cancellare scriveva”, accusandoti con Dio di fare con il mondo eterna l’anima , ti condannò scrivendo “io Giovanni, vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria dell'avvenimento… con grande dolore annunciamo che, in questi tempi, un certo Eccardo, dei paesi tedeschi e, secondo quanto si dice, Dottore e Professore di Sacra Scrittura, dell'Ordine dei Predicatori, ha voluto saperne più del necessario... sedotto, infatti, da quel padre della menzogna, che spesso assume le forme dell'angelo della luce… ha fatto crescere nei campo della chiesa spine e zizzania” e se la storia tramanda che “alla fine della vita la fede cattolica” confessasti, pure da quella “quiete”,che di contro alla bellezza “salverà e trasformerà il mondo” in cui dimorava quel Dio non tardò di nuovo ad uscire e “moltiplicandosi”, in quell’infinito universo che ovunque trova il suo centro, arse Colui che così protestando “non devo né voglio pentirmi, non ho di che pentirmi né ho materia di cui pentirmi, e non so di che cosa mi debba pentire” alla gloria affidò il suo destino!

E se “magister” in Parigi, per essersi Napoli opposto, per ben due volte (onore toccato prima di te solo a quel tal tuo grande confratello che invano tentò di conciliare Aristotele con Cristo) fosti nominato e teologo tra i più grandi del tuo tempo ti sedesti cogliendo la gloria di mille e mille discepoli che tutta la Francia ed oltre accorrevano alle tue lezioni non saranno i tuoi tanti, tutti grandi,“Trattati” o quella tua incompiuta “Trilogia dell’Opera Tripartita” alla quale i tuoi studenti avrebbe voluto affidare la gloria del tuo magistero, ma quei tuoi centoquattro “Sermoni” che in forma di orale stile, sfidando il“Capitolo” del tuo Ordine, tu caparbiamente volgesti in “volgare” ,consegnando ,come già in Italia la“Comedìa” di Colui di cui quest’anno ricorrono i settecento anni dalla morte, alla tua patria tedesca la lingua che di tutta la filosofia poi diventerà il vanto. Lampada ai piedi”,come a qualcuno piacque di nominare i tuoi sermoni furono luce al cammino non solo di monache e monaci ma anche di tutti coloro che poveri tra i più poveri, il latino impediva la via “ritorno” a Dio e per quali di contro alle accademie, come già il Figlio che invocando il Padre per i suoi discepoli chiese “io voglio che colui che mi segue sia là dove sono io” anche tu, maestro, chiedesti per il tuo popolo il medesimo luogo eterno. E lodando della povertà l’umiltà della più estrema “semplicità” di cui dicevi finchè l’anima non l’avrà raggiunta“essa non ha mai veramente amato Dio, perché il vero e proprio amore sta nella semplicità” così,predicando,l’incamminasti verso Dio !

Ed ora che in congedo di questa mia epistola anch’io come il tuo popolo umilmente mi appresto a coglierne qualche frutto, fa, maestro, come tu comandi, che anch’io possa sprofondare in quella vertigine che fu già il tuo Dio e che un antico canto dice “è luminoso e chiaro, è completa tenebra, è senza nome, è sconosciuto, senza inizio né fine, se ne sta in pace, nudo, senza veste” ed in quel culmine dell’anima dove, come il legno che incenerendosi del fuoco assume la natura, possa anch’io farmi cenere e come già l’Araba Fenice, rinascere dalle mie ceneri in quel “Dio che non appartiene ad alcuno e nessuno gli appartienee finalmente godere di quella “beatitudine” che di controalcuni maestri che hanno detto che essa sta nella conoscenza, altri che sta nell’amore; altri dicono che sta nella conoscenza e nell’amore e questi dicono meglio”  tu apertamente contestavi, dicendo che “(la vera beatitudine) non sta nella né nella conoscenza né nell’amore; piuttosto v’è qualcosa nell’anima (grund der seele) da cui fluiscono la conoscenza e l’amore, e questo qualcosa non conosce e non ama, come invece fanno le potenze dell’anima,ed … esso non ha né un prima né un poi, non attende nulla che gli capiti, perché non può guadagnare né perdere…piuttosto esso gode in se stesso, come fa Dio”. Una beatitudine solenne che “travalicando” di ogni umano sentire sconfinando in quel tempo che Agostino diceva inesistente si consumerà il mistero di quel Dio Uno dove ogni eguaglianza ed ogni diseguaglianza “andrà perduta” e dove per sempre “l'angelo più alto e la mosca e l'anima sono uguali” in quella primigenia beatitudine uniti dove tutti un dì eravamo e dove “io stavo e volevo quello che ero, ed ero quel che volevo”. E se poi, per le lusinghe del mondo che ostando indurirono il mio collo, e di quel “regno” che,in sorte del mio cammino avrei dovuto conquistare, non mi toccherà  alcuna parte e di quell’uomo nobile che pur non equipaggiato malgrado volle partire, pure mi resterà, maestro Eccardo, la gioia di aver con te camminato e …“allorchè udì vivere Giuseppe, dominar nell’Egitto ed attendere il genitore” come Giacobbe allor  lieto disse “bastami” così anch’io dirò, “bastami” e sarà questo, maestro Eccardo, il tuo premio per me!

 

Questo, maestro Eccardo, il mio epigramma per te “Nudo, senza opere travasasti, maestro Eccardo, nel nulla e fosti tu stesso Dio!

 

Questo, maestro, nel settembre che si spoglia l’amore ed il tuo volto... il fiore che ti porto!

Chiusa nelle ore pomeridiane del giorno di venerdì 16 settembre dell’anno del Signore 2021

 

 

 

 

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