Il Cilento è terra di un’ emigrazione inarrestabile che s’intreccia alla Questione Meridionale e allo spopolamento dei borghi

Cilento, terra di inarrestabile emigrazione

I paesi cilentani dovrebbero agire, uniti, come un’unica grande terra chiamata Cilento per attrarre investimenti e capitali, e contrastare l’emigrazione

Cultura
Cilento giovedì 25 aprile 2024
di Antonella Casaburi
Vallo della Lucania
Vallo della Lucania © Settimanale Unico

Il Cilento  è terra di un’ emigrazione inarrestabile; un’emigrazione che, iniziata nelle seconda metà dell’800,  s’intreccia alla sempre attuale Questione Meridionale e allo spopolamento dei borghi. Sono cambiate le modalità, le destinazioni e la tipologia degli emigrati ma ancora, e con numeri sempre maggiori, i cilentani di ogni età e ceto sociale  continuano a lasciare il paese, gli amici e i parenti  in cerca di una dignitosa  opportunità lavorativa: un’opportunità che il Nord, e più ancora  l’estero, offrono ad ogni tipologia di lavoratori. Chi resta sopravvive. Chi resta vede decrescere i servizi fondamentali (chiudono scuole, presidi sanitari, uffici, negozi …); eppure resta; per l’amore viscerale che nutre per la terra che chiama ‘casa’.

Si avvicina ‘la stagione’, quel periodo che dalla primavera inoltrata a fine estate rappresenta ‘la boccata d’ossigeno lavorativa’ in cui tutti i cilentani volenterosi in qualche maniera riescono a trovare un lavoro stagionale con cui poter pagare le tasse, e magari anche il cibo,  per un anno intero. Poi, si aspetta la prossima primavera/estate, ‘la prossima stagione’, che sarà uguale alla precedente; o almeno così si spera, perché la globalizzazione coinvolge anche il turismo, ed è sempre più difficile competere con i ‘luna park turistici’ costruiti allo scopo di far divertire, e che a poco prezzo offrono voli, alberghi e spiagge nei posti più rinomati e disparati.

Il lavoro stagionale, di cui molti cilentani vivono, da solo non consente la sopravvivenza economica. È un modo di vivere, quello che sopravvive di costa e di turismo, che fa storcere il naso a chi, non del posto, scopre le dinamiche economiche del nostro territorio. “Quanto si può ancora sopravvivere?”: è una domanda ovvia, ma a cui è così difficile dare risposta. “Si va avanti; stringendo i denti; inventandosi il lavoro …”: questa è la risposta più ovvia, e pure la più vera.

Intanto, i comuni più piccoli perdono gli abitanti, che vengono fagocitati dai centri più grandi, quelli che offrono più lavoro perché ancora hanno uffici, negozi, scuole e ospedali. In quella che, di fatto,  è una  lotta per la sopravvivenza, l’abbandono dei piccoli centri sembra visto quasi come un sacrificio necessario a cui vengono chiamati i territori più piccoli e isolati. Ma davvero è necessario che qualcuno si sacrifichi? E poi cosa accadrà? Poi la lotta per la sopravvivenza riguarderà i centri più grandi: una manciata di paesi che, tutti insieme, non fanno i numeri di una piccola città.

E se il segreto per la sopravvivenza del Cilento, dell’intero Cilento,  fosse l’unione; e sconfiggere il campanilismo? Se, pur mantenendo unicità, autonomia  e  tradizioni proprie, tutti i paesi del Cilento emergessero non sul paese vicino, ma  sul perenne, atavico campanilismo che li domina tutti? Sconfitto il campanilismo, e smettendo di contendersi uffici, servizi, negozi e abitanti, i paesi cilentani dovrebbero, uniti, agire  e promuoversi come un’unica grande terra chiamata Cilento! In questo modo il Cilento potrà attrarre investimenti e capitali; e avere la forza per contrastare l’emigrazione.

 

Antonella Casaburi

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