Di alcuni paesini rimane solo il ricordo in foto d’epoca e filmati amatoriali, ma ugualmente indispensabili a ricordarci che “un paese che non ha memoria è un paese non ha futuro”.

Con il terremoto dell'80 nacque la Protezione Civile

Giuseppe Zamberletti fu nominato commissario straordinario per coordinare la ricostruzione.

Attualità
Cilento mercoledì 25 novembre 2020
di Bartolo Scandizzo
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Laviano © Andrea Perciato

Una scossa da 6.8 gradi della scala Richter, tra 9 e 10 gradi della scala Mercalli, causa nel sud Italia quasi 3.000 i morti, 8.900 feriti e 280.000 sfollati. Un disastro con pochi precedenti e con conseguenze che scontiamo ancora oggi in termini di ricostruzione e di identità territoriale.

Sono i numeri del terremoto dell’Irpinia del 1980 che sconvolse le province di Avellino, Salerno e Potenza il 23 novembre in novanta interminabili secondi portò rovine e disastro le cui macerie in alcuni casi ancora oggi, a circa 40 anni, sono visibili.

Un sisma mise in ginocchio soprattutto i comuni di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto, Balvano e Santomenna. Devastati tanti altri territori del meridione tra i quali anche il Vallo di Diano, il Cilento e gli Alburni, che hanno atteso decenni per rimettersi in piedi. Ci sono casi poi dove ancora si attende di completare la ricostruzione post sisma e le speranze di avere una casa è per molti un miraggio.

Una generazione segnata da quel sisma che oggi ricorda bene quei momenti, adulti oggi anziani scandiscono ai giovani quegli attimi durante il sisma e raccontano l’immediato dopo terremoto, giovani oggi diventati genitori che raccontano quanto è stato difficile per i piccoli territori riprendere possesso della propria realtà e quotidianità.

Un sisma che ha segnato tutti e resta un ricordo vivo per molti. C’è chi ha perso un affetto e chi ha perso una casa. Un disastro di portata clamorosa che ha messo in ginocchio un territorio.

In questi giorni il ricordo è importante ma non deve essere fine a se stesso. Ricordare certi eventi significa da un lato creare memoria storica ma dall’altro provare a mettere in campo tutte le azioni necessarie a limitare i danni che un sisma di simile portata potrebbe provocare se malauguratamente dovesse verificarsi di nuovo.

Io vidi da vicino il terremoto che si scatenò il 23 novembre del 1980 tre mesi dopo quando arrivai a Roccadaspide con un furgone con un mio amico di Varese, Renzo Meneghin, per approvvigionarci di vino, olio e insaccati preventivamente prenotati.

In quel tempo, Varese arrivò agli onori della cronaca relativa al terremoto grazie al fatto che Giuseppe Zamberletti, fu nominato commissario straordinario per coordinare la ricostruzione. A lui si devono la nascita del dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio e l’introduzione, poi, il concetto di prevenzione distinto dall’organizzazione dei soccorsi.

Era il mese di febbraio del 1981, quando arrivammo a Roccadaspide. Ad accoglierci, oltre alla neve fresca nelle vie del paese, anche macerie e tante impalcature alzate per tenere in piedi ciò che non era caduto definitivamente. A casa dei miei suoceri, Maria e Giuseppe, trovammo gioia per vedermi arrivare ma anche tanta paura per le quotidiane piccole scosse di assestamento che si rincorrevano nell’arco delle 24 ore.

Il nostro fornitore fu Antonio Acito. Salimmo fino al Carpine dove abitava e caricammo il furgone di vino, olio, salumi ed altri prodotti freschi che aveva preparato per l’occasione.

Gina era rimasta a Varese con mia figlia Francesca, di 8 mesi, e in attesa di Giuseppe che nacque poi il 26 marzo di quell’anno. Per cui la nostra permanenza nel paese fu brevissima: ripartimmo non appena fummo pronti.

La fretta era anche dovuta alla mia preoccupazione del rischio di rimanere “intrappolati” nel paese per una scossa sismica che avrebbe potuto limitare di molto gli spostamenti dei veicoli.

Passammo da Bellizzi per salutare e sincerarmi delle condizioni dei miei genitori, Giuseppe e Giuseppina. Anche qui, molto spavento ma pochi danni …

Solo quando superammo Napoli e imboccammo l’autostrada per Roma, ci sentimmo sollevati e chiamai Gina da un autogrill per rassicurarla che tutto era filato liscio. Poi, demmo fondo alla ricca colazione preparata da mia suocera senza trascurare di aprire la bottiglia di vino d’annata che Antonio ci aveva omaggiato a parte.

Con Renzo, lungo il viaggio, parlammo molto delle impressioni relative al vissuto di quei due giorni e convenimmo che se avessimo avuto piena consapevolezza di cosa avremmo trovato non saremmo certo partiti così a cuor leggero per la Campania.

Rientrato a casa, abbracciai Gina, Francesca e accarezzai amorevolmente il “pancione” che ospitava ancora Giuseppe. Ero consapevole che trovarci lontani dall’evento catastrofico del quale, sia pur dopo qualche mese, avevo avuto modo di toccare gli effetti fisici e le conseguenze psicologiche sulla vita degli esseri viventi.

Come ogni anno, anche l’estate del 1981 la trascorremmo a Capaccio Scalo dove, per la verità, il terremoto non aveva provocato effetti catastrofici. Infatti, al margine Ovest del “cratere” la vita era ripresa come prima e già ci si affannava per trovare il modo di “entrare” con qualche titolo nel maestoso programma di ricostruzione che mai era stato messo in piedi: oltre 50.000 miliardi di vecchie lire, pari a circa 25 miliardi di Euro!

Ancora oggi, a quarant’anni di distanza, molti Comuni hanno nei propri Uffici Urbanistici le cosiddette pratiche “ex Legge n. 219”, a dimostrazione del fatto che non solo la ricostruzione è stata lenta, corrotta, anonima, ma spesso ha tradito nel rifacimento le realtà locali creando, laddove c’erano casupole i cui dirimpettai condividevano le corde per i panni, ampie strade carrabili oggi percorse dagli sparuti abitanti, piazze immense lì dove c’erano piccole agorà con due – tre bar uno attiguo all’altro, luoghi deserti a causa delle lungaggini della ricostruzione, del naturale spopolamento dei piccoli borghi, ma soprattutto di una ricostruzione calata dall’alto che non ha tenuto in minimo conto le identità territoriali. Luoghi profanati due volte: la prima dalla violenza della natura, la seconda dai cinici interessi dell’uomo.

Di alcuni paesini rimane solo il ricordo in foto d’epoca e filmati amatoriali, ma ugualmente indispensabili a ricordarci che “un paese che non ha memoria è un paese non ha futuro”.

In fondo, con il terremoto dell’’80 fu costruito, insieme alla struttura emergenziale dei soccorsi e della protezione civile, anche il sistema “economico” degli “aiuti” con il quale hann su quel terremoto, fu


TAVOLA RIASSUNTIVA COSTI ATTUALIZZATI TERREMOTI IN ITALIA 1968 -2012

Importo attualizzato 2014 in milioni di euro

Valle del Belice(*) 1968 1968-2028 € 9.179 mln

Friuli V. G. (*) 1976 1976-2006 € 18.540 mln

Irpinia 1980 1980-2023 € 52.026 mln

Marche Umbria (*) 1997 1997-2024 € 13.463 mln

Puglia Molise (*) 2002 2002-2023 € 1.400 mln

Abruzzo (**) 2009 2009 - 2029 € 13.700 mln

Emilia (**) 2012 2012 € 13.300 mln

Totale € 121.608 mln

(*) Dati a consuntivo sulle risorse effettivamente stanziate dallo Stato (**)

Previsioni di spesa delle autorità locali preposte alla ricostruzione Fonte: Elaborazione Centro Studi CNI su dati Ufficio Studi Camera dei Deputati, Regione Emilia Romagna, Commissario delegato per la ricostruzione Presidente della Regione Abruzzo.

Bartolo Scandizzo

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