A scandalizzare i compaesani è soprattutto l’affermazione della prossimità di Dio che Gesù trasforma in Buona Novella.

La fede è saper andare oltre le apparenze

Gesù ha trascorso una oscura esistenza nel deserto di Giuda a leggere le Scritture e pregare, presso il Giordano.

Cultura
Cilento domenica 11 luglio 2021
di L.R.
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Gesù nella sinagoga © web

Il ritorno di Gesù a Nazareth si tramuta in un fallimento; lo riconosce anche lui: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria». Non è facile accettare che un falegname senza studi specifici pretenda di parlare a nome di Dio pronunziando una profezia laica, anzi contro il magistero ufficiale del Tempio di Gerusalemme.

Sempre pronti a credere al meraviglioso, gli abitanti di Nazareth non nutrono fiducia; così impediscono che avvengano miracoli perché non li sanno riconoscere. La gente del paese tramuta la reazione di stupore nei suoi confronti in scandalo. Il suo insegnamento è totalmente nuovo. Loro non possono accettare che la persona sia più importante della Legge; legati alla vecchia religione non si riconoscono nel profeta, né ritengono possibile che Dio possa concedere gratuitamente misericordia. Del resto, anche quando parla Gesù non usa un linguaggio religioso. Le sue sono parole molto familiari, racconta parabole che descrivono vicende di tutti i giorni. A scandalizzare i compaesani è soprattutto l’affermazione della prossimità di Dio che Gesù trasforma in Buona Novella.

La critica posizione nei suoi confronti trova conferma nelle relazioni che i paesani intessono con la famiglia, ordinaria e numerosa. Ricordano che da piccolo egli ha aiutato il padre nella bottega, ha giocato con Giacomo, Ioses, Giuda, Simone, le sorelle sono imparentate con altri clan, vita ordinaria senza i segni di una singolare vocazione. Negli ultimi anni egli ha trascorso una oscura esistenza nel deserto di Giuda a leggere le Scritture e pregare, presso il Giordano ha iniziato il discepolato con Giovanni il Battista fino al giorno della chiamata. Poi è divenuto un predicatore itinerante seguito da discepoli che vivono con lui. Non è un sacerdote, né un rabbi ufficialmente riconosciuto, ma quando entra in un paese di sabato esercita il diritto di leggere le Scritture e di commentarle. Bravo predicatore, con autorevolezza prende la parola segnalandosi per la sapienza. Ci si attenderebbe un plauso, invece a prevalere è il dubbio mentre s’insinua vischiosa domanda: «Da dove viene tutto ciò? Che sapienza è quella? E i prodigi?»

Le perplessità sorgono quando ci si interroga sulla sua identità, per i paesani rimane il falegname figlio di Maria, una malevole sfumatura, che in quel contesto ha lo stesso effetto di un ceffone inatteso. A Nazareth la famiglia è conosciuta, perché allora Gesù pretende di dover svolgere una missione speciale? Non è possibile, é troppo umano, in lui non c’è nulla di straordinario, perché si dovrebbe accogliere il suo messaggio? Del resto avevano anche saputo che in una circostanza persino i familiari si erano recati a Cafarnao per portarselo via ritenendolo fuori di sé. Questa volta è l’intero paese a pronunziarsi: nei suoi gesti non c’è nulla di sacrale, non rispetta il rituale, in lui non sono presenti le caratteristiche del Messia così come le descrivono sacerdoti e scribi a Gerusalemme.

Nel vangelo della scorsa domenica (Marco 6, 1-6) rinveniamo tutte le domande, i dubbi, le esitazioni che oggi emergono nell’animo di chi intende riflettere sulla figura di Gesù, il quale, anche quando è rifiutato, non si arrende. Infatti, il passo evangelico si conclude con la sua sorprendente reazione a tanto scetticismo: cura i malati che gli presentano. Egli dimostra che il miracolo può sempre avvenire quando a prevalere non è l’incredulità ma la fede. Il suo operato è la sublime proiezione dell’amore del Padre. Anche se sorpreso per la incredulità, egli non è capace di nutrire rancori. Impone le mani a pochi malati e li guarisce e così trasforma le apparenze di una sconfitta in un felice spargimento di semi fecondi.

Il passo proposto alla nostra attenzione aiuta a definire le caratteristiche della cristologia in negativo quando si fa riferimento a opinioni diverse su Gesù, soprattutto dei suoi nemici dichiarati. Costoro lo biasimano utilizzando titoli blasfemi: bestemmiatore mangione e beone, non solo fuori di sé, ma un eretico indemoniato.

A ben riflettere queste parole diventano traiettorie prospettiche che contribuiscono a ricostruire il ritratto di Gesù storico. Questi termini testimoniano quanto fosse anomalo per i contemporanei la sua figura rispetto al sistema di valori e convinzioni nei circoli del potere. Quindi, rispetto alla «cristologia dall'alto" del vangelo di Giovanni, o quella "dal basso", che emerge leggendo del personaggio Gesù come è presentato nel vangelo di Marco, i passi di questa cristologia «collaterale», frutto delle affermazioni degli avversari, denunciano il suo comportamento "deviante". «Questa cristologia negativa fu elaborata dagli avversari di Gesù a causa dei suoi atteggiamenti indipendenti, liberatori e profondamente umani, ma che creavano un permanente conflitto con lo status quo religioso e sociale, chiuso su se stesso e denigratore di qualunque novità». (L. BOFF, Gesù Cristo Liberatore, Cittadella Editrice, Assisi 19761 p. 142).

lr

 

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