Si vanti pure e gridi alto di Diogene la magnifica città di Sinope il nome!

A Diogene (Sinope 412 a.C. – Corinto 10 giugno 323 a.C.) figlio di Icesio della città di Sinope, detto il “Cinico ” che della filosofia ne fece vita e tanto oltre … il mio fiore!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - mercoledì 06 febbraio 2019
Diogene
Diogene © web

“Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: "Scostati un poco dal sole". A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene".

(Plutarco, Vite Parallele )

Sebbene tante e tutte perdute siano le tue moltissime opere in prosa ed in poesia non fu certo, maestro Diogene, la sapienza quanto la tua vita a farti grande agli occhi dei tuoi contemporanei. La liberazione da ogni bisogno che non fosse naturale come la tua scuola predicava, più di ogni altro filosofo, si fece in te, maestro, sostanza e primo asceta del mondo pagano fosti per tutti il “Cinico”, il cane che errando vagabondo nella estrema misura universalistica della tua scuola per tutta la Grecia e oltre, avanzasti sempre più fedele ed essenziale e fosti per tutti solo tu, maestro,colui che contro il potere a grande “dispitto” tenne tutti gli uomini anche i più potenti a cura e graffiandoli talvolta li “azzannavi” con le sue irriverenti, spregiudicate risposte consegnandoti alla storia della virtù come l’esempio più alto ed austero di quel millantato “primato” della virtù sulla ragione che solo tu, maestro, intendesti e nonpiù per la sapienza, come continuava a predicare il tuo vanesio “ perditempo” Platone e prima ancora Socrate quanto invece per l’esercizio ( askesis ) duro e quotidiano della prova stessa che volta alla conquista progressiva di quella totale liberazione da ogni bisogno naturale che tu, maestro, praticasti e come il “sommo bene” ritenesti di raggiungere in quella piena, consapevole autosufficienza della natura che fu la tua completa “autarchia”( autarkeia) da ogni imposizione esterna e … fosti, fra i tanti che pure seguirono la tua scuola, l’unico maestro, che ottenendola ti guadagnasti con la fama il magistero dei figli di quel Seniade al quale,come narra Diogene Laerzio, tu stesso ti offristi, quando preso dai pirati di Scirpalo, fosti portato a Creta e qui sul mercato degli schiavi all’araldo che ti chiedeva cosa sapessi fare tu ,maestro, rispondesti :“comandare agli uomini” e additando un tale ( il predetto Seniade) di Corinto che indossava una veste fregiata di porpora, continuasti dicendo: “vendimi a quest’uomo: ha bisogno di un padrone” e Seniade in vero ti comprò divenendo, come lo stesso Seniade andava in giro dicendo: “un demone buono è venuto nella mia casa”. Amministratoree maestro fosti poi di quella casa e di Corinto che ti onorò la luce e la mia guida ora che… facendomi tuo discepolo fedele, al contrario di quel tuo troppo lontano, timido allievo, eseguirò il tuo comando e con il “tonno” in mano attraverserò fiero l’agorà di Atene,felice di cantare alla tua libertà e di inneggiare a quel “novello Socrate divenuto pazzo” che facendomi l’alto onore di visitarmi mi restituisce la dignità della “pazzia” e… spinto dal tuo vento impetuoso anch’io mi alzerò e libero per una volta, come già quel Grande, evitando di farti ombra, anch’io verrò alla tua “botte” e se non potrò offrirti metà del mio regno pure ti offrirò il mio canto e tu come già facesti nei miei primi anni giovanili mi parlerai, maestro, ancora una volta di nuovo della “libertà” che rende uomini e con ancora con più forza, ora che l’età avanzando reclama alla conta sempre più coerenza, della “virtù” che avvicina a Dio e di quel tuo…”vivere secondo natura” che solo si colma, come di Eracle le dodici fatiche, con la “prova” : chè mai nessun traguardo fu senza fatica conquistato. Solo la prova con l’esercizio ( askesis) quotidiano riducendo i bisogni non naturali si annullano le ambizioni e si perviene alla somma virtù. Quella virtù della “apatia” che facendosi padrone del tuo corpo ti permetteva, come narra Diogene Laerzio,di“abbracciare d’inverno le fredde colonne del tempio di Ercole e d’estate di rotolarti nella rovente sabbia” senza che mai esso si lamentasse, tanto, ed è ancora Laerzio, che quando raggiunti i novanta anni, tu,maestro, oramai vecchio e ricco di fama, libero da ogni vincolo sociale,politico e religioso, decidesti che la tua vita terrena era giunta alla fine , ti bastò di semplicemente comandare di morire perché all’istante il tuo corpo senza indugio trattenendo il respirò si consegnò alla polvere mentre tu, maestro, per esso morto ti consegnavi invece cittadino del mondo al primo “eroe filosofico”, il primo “asceta ( non fosti forse tu, maestro,ad essere chiamato il primo “cappucino” della storia ?)di quel primo cristianesimo che proprio nell’imitazione di Cristo volle trovare il suo compimento!

Il bastone al tuo cosmopolitismo randagio furono con la bisaccia e quella botte rotta la tua patria ed ogni cosa che amavi e non fu superbia ma amore per tutti gli uomini, se quel giorno interrogato proprio sulla patria tu con sicurezza rispondesti : “Cittadino del mondo” anticipando di molti secoli l’illuminista che verrà. O ancora quando di giorno andando per l’agorà con la lanterna accesa provocatoriamente a chi interrogava rispondevi :“cerco l’uomo” ! O ancora di quella volta di quando gridando a raccolta sulla piazza “Ehi, uomini” si fece dappresso della gente e tu invece di parlarle come era tuo costume, alzasti invece il bastone e picchiandola gridavi “ Uomini chiamai, non canaglie!” non fu superbia,maestro, ma ancora una volta amore, amore per l’uomo e per il suo, tradito, universale destino !

E l’azione con i comportamenti coerenti fu la tua passione pure tu,maestro, fosti filosofo, quando pervenuto alla critica di quella “ecceità” come qualcuno avrebbe detto più avanti, del tuo vanesio amico accademico, si distinsero tra le tante le tue “diatribe” che scagliandosi, come riferisce Laerzio, contro la “tavolinità” e ”coppità” invece che della “tavola” o della “coppa” così lo apostrofavi : Io, o Platone,vedo la tavola e la coppa,ma le idee astratte di tavola e di coppa io non le vedo” avanzando della conoscenza quel cammino “sensista” che prese ad ardere solo molti secoli dopo quando cadendo in eresia un altro Grande accese un rogo che ancora non si è spento!

Tu, come il tuo maestro Antistene e tutta la tua scuola detta “cinica” perché fondata in un ginnasio fuori Atene detto Cinosarge (il cane agile)luogo sacro ad Eracle, credevi oltre Socrate che ogni conoscenza nascesse dalla sensazione e che nulla ci è dato predicare su di esse se non di pre-sentire delle “prolessi”, delle anticipazioni di quella nostra immaginazione comprensiva che tu chiamavi “catalettica” e che spingendoci all’assenso ci apre la via alla ricerca di quel criterio di “verità” che ci orienterà poi nella vita e pratica!

E se la “logica” con la “fisica” fu cardine solenne alla tua scuola pure a te, maestro, toccò molto di pìù di dare corpo all’”etica” , chè se per la tua scuola fu il vanto per te, maestro, fu la vita, la vita perseguita e realizzata in quella essenziale “apatia” che solo una vita “secondo natura” può donare!

Una botte infatti fu la tua casa e anche troppo già la tua parca suppellettilese, come narra ancora Laerzio, un giorno vedendo tu ,maestro,un bambino bere dal cavo delle mani gettasti via dalla bisaccia la ciotola, dicendo: “ Un fanciullo mi ha dato lezioni di semplicità”. Era tanta a fronte del superfluo, delle consuetudini sociali e del pubblico pudore la tua spregiudigatezza che quando provocatoriamente masturbandoti quella volta in pubblico contro ogni pudore qualcuno osò di biasimarti, tu solo rispondesti:“magari potessi placare la fame stropicciandomi il ventre” e serenamente continuando entrasti nella storia come uno dei primi veri, duri, autentici contestatori della società regnante, se… Luciano di Samosata, scagliando, nel II secolo d.C. ,contro di te e la tua scuola la sua opera “I fuggitivi” ti accusò apertamente con il tuo comportamento spregiudicato di avere aperto la strada alle prime ribellioni nel mondo antico.

Il tuo “cinismo”ed in particolare quel tuo sprezzante quanto violento rifiuto,oggi diremmo, delle regole dell“establishment “ cominciò infatti così a covare nel profondo delle classi più disagiate che quando i tessitori di lana della antica Grecia si ribellarono per la prima volta alle loro tristi condizioni esse rivolte furono assegnate proprio al tuo “cinismo” ed a quei tuoi comportamenti ribelli che continuando arriveranno fino ai giorni nostri fino a toccare le prime rivendicazioni di quella grande massa operaia che successivamente la terminologia marxista chiamerà “proletariato “. Molti storici infatti, concordando sulla connaturata, manifesta carica rivoluzionaria del tuo“cinismo” chiamarono, già in epoca moderna, la tua scuola come forse la prima, grande,vera “filosofia del proletariato greco”, che abbracciando nel tempo la tua “protesta”avrebbero preparato a quel “rovesciamento” della scala dei valori regnanti che avrebbe generato una più giusta ed eguale società!

Perché fatta la tara al tuo generoso quanto fecondo “cinismo” non rimanealtro,maestro, che un alto e solenne appello a quel nostro, eterno,indomito amore per la libertà che albergando in ognuno di noi ci dovrebbe spingere verso una vita più felice e virtuosa!

Fu con il tuo nome la tua gloria così tanta, maestro Diogene, che quando ll magnifica città di Corinto, dove la tradizione vuole tu sia morto nello stesso giorno del grande Alessandro Magno, scolpì questa iscrizione “Anche il bronzo cede al tempo e invecchia, ma la tua gloria, o Diogene, rimarrà intatta per l'eternità, poiché tu solo insegnasti ai mortali la dottrina che la vita basta a se stessa e additasti la via più facile di vivere” ergendoti un sepolcro su cui “posero una colonna e su questa un cane in marmo di Paro” fu tanta la gente che tutti facevano a gara a gridare il tuo nome che ne venne la fama fino al mio amato e saccheggiato Diogene Laerzio che non volendo mancare all’appuntamento riferendo prima di un tal Cercida di Megalopoli che scrisse : “Non più, egli che un tempo fu cittadino di Sinope, celebre per il suo bastone, per il doppio mantello, e per il nutrirsi di ètere; ma se ne andò al cielo,premendo il labbro contro i denti e mor­dendo il respiro. Egli fu veramente Diogene, un vero figlio di Zeus, cane del cielo”, anche lui volle per te, maestro, scrivere un epigramma “O Diogene, quale destino ti portò all’Ade, il dente rabbioso di un cane!” che pur narrando di una altra morte tuttavia lo eleva con il grande padre Dante nel Limbo di quegli “Spiriti Magni” in cui forse … il divin Raffaello ti vide sdegnoso e solitario, sdraiato su quegli scalini della“Scuola di Atene” con l’abito lacero e la ciotola gettata lontana in ostento di disprezzo di ogni bene materiale ed in “misura” della tua sola virtù divina!

Questo, maestro, nei giorni verticali del Gennaio che impera l’amore comitale … il fiore che ti porto!

(Chiusa nelle ultime ore meridiane del giorno 29 gennaio 2019)

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