Si vanti pure e gridi alto di Renato Cartesio la magnifica città di La Haye il nome!

A Renato Cartesio (La Haye, 31 marzo 1596, Stoccolma ,11 febbraio 1650) figlio di Joachim, della città di La Haye, che nel “cogito” risolse ogni dubbio … il mio saluto!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - martedì 16 febbraio 2021
R. Cartesio
R. Cartesio © Unico

EPIGRAFE

Io suppongo, dunque, che tutte le cose che vedo son false … ed  anche se un non so quale ingannatore potentissimo e astutissimo, che impiega tutta la sua industria nell'ingannarmi sempre …non v'è dunque dubbio che io esisto, s'egli m'inganna; e m'inganni fin che vorrà, egli non saprebbe mai fare che io non sia nulla fino a che penserò di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato, ed avere accuratamente esaminato tutto, bisogna infine concludere e tener fermo che questa proposizione: Io sono, io esisto, è  inecessariamente vera tutte le volte che la pronuncio o che la conce­pisco nel mio spirito.                                                                      

                                                                             (R. Cartesio,“Meditazioni filosofiche” ) 

 

Ed anche per te, maestro Cartesio, figlio di Joachim, della città di La Haye, che nel “cogito” risolvesti ogni dubbio, canterò il mio canto, e … timidamente, sottovoce, senza urlare, come ti piaceva, maestro, con prudenza pubblicamente prendendo le distanze da personaggi come  Bruno, Campanella, o lo stesso Galileo che dicevi alla tua parte “caratteri turbolenti e irrequieti”, troppo impazienti di “precipitare giudizi” ed incapaci  di “condurre con ordine i loro pensieri” ovvero senza “metodo”. Quel “metodo” che, tra i bagliori delle guerre di religioni ed i tanti roghi che infiammarono le piazze d’Italia, tu, maestro, in quella amata

“solitudine senza isolamento” (molta e copiosa fu con gli intellettuali più grandi del tuo tempo la tua corrispondenza) che la tollerante terra d’Olanda ti guadagnò, riuscisti a comporre scatenando una rivoluzione “da la quale” dopo di te “nullu filosofo” potrà mai più “scappare”… divenendo il primo ed il più grande artefice di quel pensiero “razionalistico” che, raccogliendo con Platone di Pitagora la prima “semenza”, si fece alfiere di un cammino che non mai più sarà abbandonato!

E tutto accadde, mentre il tuo esercito riposava, in quella gelida notte tra il10 e 11 novembre del 1619, quando, come riferisce il tuo biografo Baillet,”lo Spirito di Verità venne ad aprirti i tesori di tutte le scienze” e per  i versi  “quod vitae sectabor iter?” di quel tal Ausonio poeta, ti consegnò prima la missione della tua vita e poi dopo per quelli più misteriosi di “est et non” che, come le tue sei “Meditazioni filosofiche” che sembrano richiamare segrete misure divine, ammonendoti di vagliare il vero dal falso ti indicava chiaramente il cammino che avresti dovuto intraprendere!

E fu così che, in comunione ed osservanza di quel “mistico rapimento”, come tu stesso racconti,maestro, “già da qualche tempo, ed anzi fin dai miei primi anni, mi sono accorto di quante falsità ho considerato come vere, e quanto siano dubbie tutte le conclusioni che poi ho desunto da queste basi; ho compreso dunque che almeno una volta nella vita tutte queste convinzioni devono essere sovvertite, e di nuovo si deve ricominciare fin dai primi fondamenti, se mai io desideri fissare qualcosa che sia saldo e duraturo nelle scienze” cominciasti quel tuo nuovo cammino che, oltre il puro scetticismo, che pure ti aveva in giovane età preso, dopo venti e più anni di studio e di meditazione finalmente raggiunta l’età matura ti sentisti “atto a compiere il tuo disegno” e libero“da ogni sorta di altri pensieri, e … non  agitato da nessuna passione” e pronto a pubblicare le tue“Meditazioni”  e che tu, maestro, forse anche ammonito dall’abiura di quel tal grande“italiano pure benvoluto dal papa” che  con il suo “Trattato” aveva voluto“far maturare” troppo presto i suoi frutti, avresti voluto “secondo,come tu stesso scrivevi, una mia antica decisione, non voglio metterci il mio nome” pubblicare in anonimato se il mio tuo buon amico l’abate Mersenne non ti avesse sconsigliato. “Non io conto ma l’Io, non le mie idee vale la pena di apprendere ma il metodo per imparare a formularne di vere o false” scrivevi, quanto piuttosto di  realizzare quel“Progetto di una scienza universale,che possa innalzare la natura al suo più alto grado di perfezione”. E fu così che in quell’anno 1637, alla tua età di  41 anni, maestro, finalmente vide la luce non un “Trattato” troppo pericoloso e ed “avventista” quel titolo ma semplicemente un modesto “Discorso sul Metodo”e fu questa, maestro, la tua rivoluzione, ribaltando del “Novum Organon“ il metodo ”induttivo” dissentisti ed oltre l’incetta scolastica chiamasti a testimone la “matematica”, la regina, e fiero gli opponesti con la sua chiarezza il suo metodo “deduttivo”e quelle sue quattro regole “la prima di non accogliere nulla come vero che non cono­scessi con evidenza essere tale: di evitare cioè accuratamente la precipita­zione e la prevenzione, e di non comprendere nei miei giudizi nulla che non si presentasse alla mia mente con tale chiarezza e distinzione da non aver alcun motivo per metterlo in dubbio. La seconda di suddividere ciascuna difficoltà da esamina­re in tutte le parti in cui era possibile e necessario dividerla per meglio ri­solverla. La terza nel condurre con ordine i miei pensieri iniziando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi per salire progressiva­mente, come per gradi, fino alla conoscenza di quelli più complessi; e sup­ponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono natural­mente gli altri e viceversa. E infine l'ultima di fare ovunque enumerazioni così complete e ras­segne così generali, da essere certo di non aver tralasciato nulla”, sempre dichiarando che “ ne prendessi la ferma e costante risoluzione di non venir meno,neppure una volta, alla loro osservanza” e ne stabilissi inattaccabile il “principio per sé stesso evidente”. 

E poichè, come il sonno con la veglia, tutta la realtà potrebbe ingannarci io dichiarasti,maestro, comincerò a “dubitare” e partendo dai sensi attraverserò la stessa materia fino ad arrivare a dubitare anche delle stesse verità matematiche che un “genio maligno” potrebbe confondere e circondare di inganni,ma ”nondimeno io mi sforzerò … fino a che abbia incontrato qualche cosa di certo” e come“Archimede, per togliere il globo terrestre dal suo posto e trasportarlo in un altro luogo, non domandava altro che un punto che fosse fisso ed assicurato” così continuando ostinato con“in mente fisso che nulla è mai stato di tutto ciò che la mia memoria, riempita di menzogne, mi rappresenta; penso di non aver senso alcuno; che il corpo, la figura, l'estensione, il movimento ed il luogo non sieno che finzioni del mio spirito”  ti determinasti alla fine a credere“che non v'è nulla al mondo di certo” se non l’azione stessa del pensare e che per quanto un “ingannatore potentissimo e astutissimo impieghi tutta la sua industria nell'ingannarmi sempre” non potrà però mai negare che io penso e quindi esisto, ovvero quel“cogito ergo sum” che per essere “necessariamente vero tutte le volte che la pronuncio o che la conce­pisco nel mio spirito” diventa ,maestro, il tuo “punto archemideo” che pur subito criticato per nascondere secondo qualcuno solo un sillogismo abbreviato ovvero un “entimema” e per altri, in particolare, per quel tal inglese che facendo del mostro “Leviatano”  un’opera, per essere solo e solamente una novella forma di“dogmatismo” confondendo, ma... poiché, maestro, tu gli rispondesti nelle tue “Risposte” alle “Terze Obbiezioni” sentiamo prima la sua obiezione. Scrive l’inglese “io sono una cosa che pensa. Ben detto; poiché dal fatto che penso o dal fatto che ho un'idea, sia vegliando, sia dormendo, s'inferisce che io sono pensante: poiché queste due cose: “io penso” e “io sono pensante” significano la stessa cosa… ma non mi sembra ben dedotto questo ragionamento di dire “io sono pensante”, dunque “io sono un pensiero”; oppure “io sono intelligente”, dunque “io son un intelletto”. Poiché nella stessa guisa potrei dire: “io son passeggiante”, dunque “io son una passeggiata”. Il Signor Des Cartes, dunque, prende la cosa intelligente e l’intellezione, che ne è l’atto, per una medesima cosa” concludendo che “poichè altro è la cosa stessa che è, ed altro la sua essenza” tu confondevi, maestro, la “res cogitans” con la “res extensa”. Ma non s’avvedeva però l’inglese, come l’esempio della “cera” dimostrerà… “prendiamo per esempio questo pezzo di cera ,che è stato proprio ora estratto a cera estratta dall’alveare: esso non ha perduto ancora la dolcezza del miele che conteneva, serba ancora qualcosa dell'odore dei fiori, dai quali è sta­to raccolto; il suo colore, la sua figura, la sua grandezza sono manifesti; è duro, è freddo” ma se per caso lo si “si avvicina al fuoco: quel che vi resta­va di sapore esala, l'odore svanisce, il colore si cangia, la figura si perde, la grandezza aumenta, divien liquida” e che diverso e l’atto del passeggiare e da quello del pensare. E le qualità delle cose, che distinguendo, maestro, chiamerai“secondarie” quelle soggettive, come i colori, gli odori o ancora i suoni, che per venire dai sensi sono necessariamente mutevoli e trapassano volentieri spesso scomparendo e quelle “primarie” ovvero oggettive come l’estensione, il moto, che permanendo invece solidamente al fondo della nostra esperienza come “sostrato”  alle qualità sensibili, non può essere colto dai sensi, i quali come le qualità che percepisce subisce la stessa mutevolezza ma deve essere colto da qualcosa che dura e non mai muta permanendo sempre identico a se stesso e questo …ed ecco, maestro, la tua risposta, non poteva che essere quella coscienza che l’io ha di sé, quel “pensiero pensante” ovvero proprio quella “res cogitans” che, all’inglese che tutto aveva ridotto a “materia”, era sfuggita e che ora tornando solennemente farà di te, maestro, il primo artefice di quel soggettivismo gnoseologico per cui la verità non è più in una realtà (o essere) opposta o presupposta al pensiero ma nella realtà o essere del pensiero medesimo che pur …chiara e distinta potrebbe però un “genio maligno” ingannare. Ed allora, perché una scienza valida possa essere fondata, urge di tornare necessario nuovamente a quell’io pensante e di verificare se tra quei  suoi contenuti che genericamente chiamerai“idee” e che distinguerai: in “innate” o come ti piaceva di più chiamarle“nate con me”,come  quella di Dio o della verità, in “avventizie”, quelle che sono “venute di fuori” come il sole, la casa ed infine in “fattizie”, quelle “fatte ed inventate da me stesso” come l’idea di chimera o di ippogrifo, c’è ne sia una che“chiara e distinta” nella sua piena evidenza possa resistendo ad ogni possibile attacco. Una idea che, se mai esistesse, non potrà che trovarsi per la loro natura fra quelle “innate” e che non potrà che essere, come sosterrai, maestro, che quella di Dio, che intendevi come “una sostanza infinita, eterna, immutabile, in­dipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e tutte le al­tre cose che sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), siamo stati creati e prodotti. Ora, queste prerogative sono così grandi e così eminenti, che più attentamente le considero, e meno mi persuado che l'idea che ne ho possa trarre la sua origine da me solo. E, per conseguenza, bisogna neces­sariamente concludere da tutto ciò che ho detto per lo innanzi”, leggi San Anselmo d’Aosta) che Dio non solo esiste ma che esiste fuori di me assicurandomi che quel mondo di cui prima dubitavo, esiste realmente e non è una nostra illusione, generando ora per sempre nella tua filosofia, maestro, quell’annoso “dualismo”  tra la“res extensa” e la “res cogitans”, che tanto travaglierà i filosofi che verranno e che tu, pure avvertendolo, accettasti volentieri tentando tuttavia e solo nell’uomo una possibile conciliazione attraverso quella “ghiandola pineale” che spaiata dal cervello avrebbe tradotto la volontà in azione. Un Dio perfetto che nella sua infinita bontà non potrà mai desiderare di ingannarci e per questo nostro garante supremo di quella scienza che crescendo alimenterà quel sogno ,che fu anche il tuo, maestro, anche se con saggezza, di dominio sul mondo e che fece tanto invece infuriare quel tal altro grande autore di “Essere e tempo” da stroncarlo come “folle” e figlio prepotente di un “pensiero calcolante” che tutto investendo riduce a “merce” ogni cosa o meglio a tutto legno anche la bellezza misteriosa di un bosco …forse  solo i poeti, chissà, resistendo, un giorno! 

Ma questo, maestro, al tuo secolo, in cui i roghi bruciavano ancora alti i pensieri dei filosofi, il tuo sogno fu timida, come era tuo costume, eppure grande luce agli uomini concessa e certo non potevi presagirne la superbia …  anzi tanto ti spingesti oltre a sognare un mondo migliore che credesti che progredendo la scienza avremmo potuto governare anche le nostre “passioni” e seguendo poi quelle tue tre brevi regole che furono, maestro, la tua così detta “morale provvisoria” ovvero“di obbedire alle leggi ed ai costumi del proprio paese,serbando fede alla religione…di esser fermo e risoluto, per quanto potevo, nelle mie azioni e di seguire anche le opinioni più dubbie, una volta che avessi deciso di accettarle” ed infine “di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna,e di voler modificare piuttosto i miei desideri che l’ordine delle cose  del mondo” di vivere felici  assaporando “le più grandi dolcezze in questa vita”. E se… poi, dopo una vita dedicata allo studio e alla conoscenza, come Socrate, ti colpì la maldicenza prima con l’ironia di quel tal Jonathan autore d'un romanzetto ove si tratta dei viaggi di Gulliver e poi, morendo tu, maestro, precocemente ed in pochi giorni, l’insulto di quel tal giornale olandese, che irridendo al tuo“metodo” che avrebbe allungato la vita, cosa peraltro oggi affatto“evidente”,con queste  parole insolenti annunciò la tua morte: “In Svezia è morto solo uno sciocco, che diceva che avrebbe potuto vivere finchè voleva”, non ti crucciare, maestro, chè se è vero che non possiamo non dirci “cristiani” altrettanto vero è che, caduto per te ogni “principio di autorità”, non possiamo non dirci anche“cartesiani”… insistendo ancora oggi con il tuo“cogito” a comandare domande quel tuo tanto travagliato “dualismo”; se, ed è Carlo Sini, nella Chiesa di Roma che la resurrezione dei morti attende, vanta ancora alla“cremazione” il suo varco!

Questo, maestro, il mio epigramma per te:”Disposto a credere a tutto, tutto negasti, raccogliendo nel “cogito”, maestro, tutta la tua gloria”.

Questo, maestro, nel dicembre vermiglio il Corona virus, l’amore ed il suo abbaglio… il fiore che ti porto!                                                                                                           

Chiusa nelle ore pomeridiane del giorno di mercoledì 9 dicembre 2020

 

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