Si vanti pure e gridi alto di Giovanni Scoto Eriugena la magnifica terra di Irlanda il nome!

A Giovanni Scoto Eriugena (Terra d’Irlanda, 810, Terra d’Inghilterra, 875) figlio della terra di Irlanda, che della Natura una ne fece quattro e poi nessuna … il mio saluto!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - martedì 18 maggio 2021
Il filosofo Giovanni Scoto Eriugena in un'illustrazione
Il filosofo Giovanni Scoto Eriugena in un'illustrazione © Unico

 

 

 

EPIGRAFE

L'autorità è derivata dalla ragione, non la ragione dall'autorità, e l'autorità legittima altro non mi sembra essere che la verità scoperta colle forze della ragione.

                                                                           (Scoto Eriugena,“De divisione naturae” )

 

Ed anche per te, maestro Eriugena, della terra di Irlanda figlio che della natura una ne facesti quattro e poi nessuna, canterò il mio canto … principiando da quella tua verde terra orizzontale che fuori dalle invasioni barbariche tenne accesa quella luce che l’oriente accese e che, testimone solenne di greca fattura il tuo nome, tu,“magister” in quella “Schola” che fu di Carlo, luminosa ci rimandasti. E se, con ammirazione, quel tal Anastasio il Bibliotecario, anticipando di molti secoli colui che oggi in Roma regna, scrisse che eri“vir barbarus in finibus mundi positus” un barbaro venuto dai confini del mondo, pure fosti greco e latino e di quel tal grande polemista di Cartagine che la superiorità della fede sulla ragione censurò gridando “credo quia absurdum “, (credo proprio perché è assurdo), non ti convinse, chè, nutrito e abbondantemente alle platoniche “poppe” di quel tal filosofo che solo una volta nella vita ascese all”Uno”, come già quel tal grande vescovo di Ippona, ti piacque,maestro, di rivolgerti a quel suo più alto ed umano "credo ut intelligam et intelligo ut credam" (credo per comprendere e comprendo per credere) nel quale tanto ti fortificasti e fu grande l’ufficio assegnato alla “ragione” che non mai più l’abbandonasti e se… poi colui, che al “cogito” si concesse, del “razionalismo” ne trasse il vanto, tu, maestro Eriugena, ne fosti il primo!

Scrivevi, dedicandola al tuo amico e compagno di studi Vulfado, nella tua “De divisione naturae” rivolgendoti al tuo diletto discepolo ”tu non ignori, credo, che ciò che è primo in natura ha una dignità maggiore di ciò che è primo nel tempo….abbiamo imparato che la ragione è prima per natura mentre l’autorità lo è nel tempo… e quindi l'autorità è derivata dalla vera ragione: mai la ragione, invece, è derivata dall'autori­tà. Ed ogni autorità, che non viene confermata dalla vera ragione è debole, mentre la vera ragione, poiché ferma e immutabile si avvale delle sue vir­tù, non ha bisogno di essere corroborata dall'apporto di alcuna autorità. Perché la vera autorità non è altro che la verità scoperta con la forza della ragio­ne e tramandata dalle opere dei santi Padri a utilità del posterinon si oppone alla retta ragione, né questa alla vera autorità, poiché entrambe derivano da un'unica fonte, cioè dalla divina sapienza è questo il motivo per cui, in questo nostro ar­gomentare, si deve usare prima la ragione, poi l'autorità … nessuna autorità mai ti distolga da quelle cose che ti sono insegnate dalla retta ragione” chè solo la ragione è via maestra alla verità!

E noi, maestro, che figli di un’ altra epoca,  in cui, come qualcuno lamenta, nessuno per le sue idee ha mai pagato manco “un’ora di galera”, come faremo, come potremo mai reggere  di contro al tuo tempo che ti vide invece più volte “nella polvere e sull’altare” il fronte. Tu, che, abate in quel lontano monastero di Malmesbury, tenace tenendo fermo il tuo “diverso” magistero fosti dai tuoi stessi monaci assassinato e poi santo sull’altare per molti secoli venerato, finchè, dopo l’anatema di quel tal papa che in Roma incoronò Federico imperatore e che tutti i tuoi libri volle in piazza arsi, non giunse poi quel tal Concilio che “sciacquando i suoi panni” in Trento non ti cancellò definitivamente dal suo martirologio, ma … non così la tua chiesa di Inghilterra,che fatta eretica da un mancato “annullamento”, continua nei secoli ad onorarti e forse oggi …anche quel papa che terzo si fece nel “gran rifiuto.

Chè davvero, maestro Eriugena, tu credevi che tra “ragione e fede” non ci fosse opposizione ma solo intimo “accordo” e che la ragione essendo nata all’inizio dei tempi insieme con la natura e l’autorità è nata dopo” e che quindi senza contrasto ma armonia di intenti l’”autorità” deriva  dalla “ragione”, ma regnava ancora al tuo tempo la fede e con la sua verità trascendente il suo misticismo e troppo la tua “ragione” si era spinta avanti. Come quando, ancora sconosciuto pensatore, entrasti in polemica con quel tal monaco sassone che voleva ogni uomo predestinato e di contro affermando che Dio è in se stesso“uno” e non mai potrà manifestarsi “doppio”, nemmeno nella volontà di premiare o di condannare, e valendoti di quella tal “teologia negativa” (apofantica) che fu di quel tal Pseudo Dionigi di cui fosti discepolo ed anche traduttore, così lo rincalzavi contestando che di Dio nulla si può predicare nemmeno dei concetti di “prima e di poi” e che quindi pertanto il termine “predestinare”, riferito a Dio non ha alcun senso e che la volontà divina, così come la sua natura comanda, sempre rimane imperscrutabile. E tanta alta fu in te,maestro, per l’uomo la tua stima che sembra già di quel tal “Discorso sulla dignità dell'uomo” di avvisarne il profumo, quando, oltre l’angelo che “privo come è egli del corpo manca della sensibilità e moto vitale”, nomandolo “l’officina di tutte le creature”, in lui leggesti la sua superiorità: “intelligendo” l’uomo come l’angelo, “ragionando” come l’uomo e per di più “sentendo” come l’animale irragionevole, ed immagine viva in terra della Trinità lo ponesti. E tanto corresti avanti, oltre le metafore di Agostino, che volle l’uomo a tratti simile ad una “lucerna”, ad un “cavaliere” o ancora al mitico “centauro” per addivenire nella“De civitate dei” a quella “biga” di antica memoria, e fu grande,maestro, la tua considerazione per l’umana natura, da consideralo l’immagine sensibile della Trinità. E come alla prima persona del Padre compete l’essenza, così all’”anima” dell’uomo compete “l’intelletto”, con il quale intende Dio e come alla seconda del Figlio compete la potenza così alla “mente” dell’uomo compete la “ragione” con la quale coglie i principi (le idee) delle cose e come infine alla terza dello Spirito compete l’atto così al “corpo” dell’uomo compete quel “senso inferiore” che ritiene gli effetti, sia visibili sia invisibili, delle cause primordiali. Ed è l’unico che “perisce” e dalla cui “dissoluzione” nei suoi quattro elementi costitutivi principierà quel “ritorno” verso Dio dell’anima che “che fatta ad immagine di Dio, non perdette mai la forza della sua bellezza e l’integrità della sua essenza e mai può perderli. Una forma divina, come è l’anima, rimane sempre incorruttibile” e quindi non sarà il fuoco dell’inferno, che tu, maestro, affermavi (in agguato l’eresia) non esiste, chè il vero inferno per l’anima del reprobo non potrà essere il fuoco ma la pena eterna di non potere“godere” della visione di Dio e di non partecipare di quella “pienezza” di Dio e “come l’aria nella luce” illuminarsi del mistero di Dio . E come “l’aria partecipa del raggio di sole e non è di per sé luminosa ma per lo splendore del sole che in esso vi appare” così, in verità, l’uomo per la sua ragione: chè “non siete voi” scrive Giovanni nel suo Vangelo” che parlate ma Dio che parla in voi” . Quel Dio che dispiegandosi sensibilmente in quella “natura”, che sarà oggetto di indagine della tua “De divisione naturae”, chiarendo fin dall’inizio che natura “è il nome generale comprendente tutte le cose che sono e tutte le cose che non sono” e sulla quale proprio per “il fatto che questo vocabolo è generale” vorrai “applicare la regola della divisione” e che applicata ti sembrerà,maestro,  che “la divisione della natura assuma, in base a quattro differenze, quattro specie, di cui la prima è da indicare in ​quella che crea e non è creata​, la seconda in​ quella che è creata e crea​, la terza in quella che è creata e non crea​, la quarta ​che non crea e non è creata​”. In un processo discensionale ed ascensionale che tu, maestro così chiarirai “in primo luogo Dio discende dalla superessenzialità della sua natura, nella quale deve dirsi che egli non è, e da se stesso creato nelle cause primordiali diventa il principio di ogni essenza, di ogni vita, di ogni intelligenza e di tutto ciò che la teoria gnostica considera come cause primordiali. In secondo luogo, egli discende alle cause pri­mordiali che stanno in mezzo fra Dio e la creatura, fra l’ineffabile superessenzialità di Dio che trascende ogni intelletto e la natura che si manifesta a coloro che hanno lo spirito puro; diviene negli effetti delle cause primordiali e si manifesta apertamente nelle sue teofanie. In terzo luogo, procede attraverso le forme molteplici di tali effetti sino all’ultimo ordine dell’intera natura che contiene i corpi. Così ordinatamente giungendo in tutte le cose, crea tutte le cose e diventa tutto in tutto; e ritorna in se stesso, richiamando in sé tutto e, mentre diviene in tutto, non cessa di essere al di sopra di tutto” e non fu il tuo di cui pure, maestro, fosti accusato, panteismo ma solo e solamente “teofania” ovvero manifestazione sensibile di un Dio che superando “ogni intelletto ed ogni significato sensibile e intellegibile” non si chiude sterilmente nella sua inaccessibile “unità” ma articolandosi nelle sue tre sostanze della“ingenita” del Padre, “che è il creatore di tutto”, delle “genita” del Figlio, “che crea le cause primordiali, ovvero le “idee”, delle cose che sussistono il lui universalmente e semplicemente”, e di quella “procedente” dall’ingenita e dalla genita dello Spirito Santo, “che moltiplica queste cause primordiali (idee) nei loro effetti, cioè le distribuisce ognuna nei generi e nelle specie, nei numeri e nelle differenze, sia delle cose celesti sia delle cose sensibili” si rivela all’uomo per la sua stessa“teofania” che discendendo ascenderà per di nuovo nell’unità di se stesso eternamente compiersi. Un Dio, come abbiamo ricordato, di cui nulla si può,secondo quella “teologia negativa” predicare ma neppure, forzando la strada che fu già di quel grande di Stagira, per quella così nominata della “teologia positiva o catafantica”, forse solo, ma fu un azzardo, maestro, per quella “teologia” che chiamasti  “superlativa” che predicando solamente di superlativi poteva di Dio accennarne qualche brandello, chè … e certamente nella tua profonda umiltà, maestro, concordavi, della conoscenza vera dell’essenza di Dio, all’uomo, come Agostino affermava, non rimane altro che “l’ignoranza di lui” ovvero quella “dotta ignoranza” che, in verità, è ” la vera sapienza.”  E non fu, maestro, la tua alla conoscenza rinuncia ma solo “maraviglia” per un Dio, che qualcuno disse “morto” e che al tuo tempo di contro onnipresente ovunque nella creazione si rendeva agli uomini visibile e la bellezza correva per tutto l’universo innondandolo di stupore e di quella …“maraviglia” di cui nel “Teeteto” quel grande che in Atene tenne la sua Accademia, scriveva “è proprio del filosofo … né altro cominciamento ha il filosofare che questo” quella che, fatti schiavi della tecnoscienza, noi oggi abbiamo perso, e che tu, maestro, con la “contemplazione del creato”, possedevi e filosofo lo fosti per davvero e grande ed anche oltremodo irlandese, come, di quel tal Guglielmo di Malmesbury, testimonia il suo famoso aneddoto. Si narra infatti che tu, maestro, “magister” in quella “Schola” di cui il re che ti chiamò portava del fondatore il nome, una sera, si levò e piacendogli brindando forse troppo di motteggiare, con tono di sovrano, ti apostrofò “quis distat inter sottum et Scottum” ovvero che differenza c’è tra un idiota ed un irlandese, e tu, maestro, che irlandese lo eri davvero e delle tue origini fiero, dall’altro capo della lunga tavola ti alzasti e senza esitazione gli rispondesti “tabula tantum” ossia la tavola, maestà, e fu gelo alla corte e silenzio tanto… era sottile la tua arguzia ma ancor più con la sapienza alto il tuo magistero!    

Che ora qui che di questa mia epistola si approssima la fine, come già fece “quel tal Sandro autore di un romanzetto ove si tratta di Promessi Sposi” congedando i suoi venticinque,così anch’io farò con il mio e non sarà e sarà il mio vanto, la conclusione “trovata da povera gente” il “sugo di tutta la storia” ma la tua“fiera” risposta, maestro e quell’appello ulteriore che raccolto in quelle ultime linee della tua “De divisione naturae” rivolgevi al tuo amico e compagno di studi Vulfado, quando impegnandolo “a difendere con le forze del suo acutissimo ingegno” la verità della ragione “non tanto contro coloro che vorranno entrare in contrasto con me, ma almeno con quelli che sono veri indagatori ed amici della verità, e con questo non dovrai affaticarti troppo, credo, infatti appena tali scritti giungeranno nelle mani di coloro che sono veri filosofi, visto che loro ben si confanno alle loro dispute, non solo li accoglieranno con animo ben disposto ma li baceranno come se fossero cosa loro, se invece quelli dovessero capitare  tra coloro che sono più inclini a criticare piuttosto che ad avere indulgenza, non sarà necessario lottare a lungo contro di loro” chè sempre anche di contro l’arroganza di un re e fu …questa della libertà dei filosofi la tua corona e per noi, maestro Eriugena, il tuo testamento che: “noi dobbiamo sempre seguire la ragione … non oppressa da alcuna autorità”!

 

Questo, maestro, il mio epigramma per te: “E se un re ti volle “magister” alla sua “Schola” tu, maestro, lo fosti davvero e grande!

 

Questo, maestro, nel gennaio silenzioso, il Corona virus e l’amore operoso … il fiore che ti porto!                                                                                                           

 

Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di giovedì 7 gennaio dell’anno 2021

 

 

 

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