Si vanti pure e gridi alto di Ugo di San Vittore la magnifica città di Hartingam il nome!

Ugo di San Vittore (Hartingam,1096, Abbazia di San Vittore, 11 febbraio 1141) figlio dei conti di Blankenburg della città di Hartingam, che “facendo all’unione con Dio prima la fede, non disdegnasti la ragione”… il mio saluto!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - mercoledì 14 luglio 2021
Ugo di San Vittore (Hartingam,1096, Abbazia di San Vittore, 11 febbraio 1141)
Ugo di San Vittore (Hartingam,1096, Abbazia di San Vittore, 11 febbraio 1141) © web

EPIGRAFE

Un saggio, interrogato sulle disposizioni migliori per apprendere, rispose: Spirito umile, impegno nella ricerca, vita tranquilla, indagine silenziosa, povertà, terra straniera; queste circostanze rendono più agevole il superamento delle difficoltà che si incontrano durante gli studi. In questo senso si dice che Platone avesse un tempo preferito imparare con umiltà, piuttosto che insegnare con presunzione. Perché dovresti vergognarti d’imparare e non hai pudore di essere ignorante? Ciò è molto più disonorevole. Perché aspiri a cose tanto grandi, quando sei tanto piccolo? Considera realmente fin dove possono arrivare le tue forze.

 (Ugo di San Vittore, “Didascalicon”)

 

Ed anche per te, maestro Ugo, figlio dei conti di Blankenburg della città di Hartingam, che facendo all’unione con Dio prima la fede, non disdegnasti la ragione, canterò il mio canto … ed in quel medioevo illuminato da Platone in cui cominciava già ad accendersi di quel “maestro di color che sanno” la seconda sua luce, in quella Lutezia affollata che al tuo tempo di tante scuole fioriva, verrò ed ancora una volta, pellegrino di un tempo troppo relativo, busserò alla porta di quella tua “schola” che fu detta di “San Vittore” e che un maestro, fuggendo da un suo allievo troppo “dialettico” volle fondare ed alla quale, straniero di una terra troppo fiera che tanto con i“guelfi” si oppose a miei primi studi “ghibellini”, venisti e prima discepolo e poi “magister” in alto a sedere su quello scranno di sapienza che fu la sua “cathedra” ti vide poi priore. Ed al mo’ di quei lontani discepoli greci che ascoltando dovevano per sette anni tacere, nulla domanderò ma, come tu stesso, maestro, ammonivi il tuo allievo “virtuoso”, diligentemente osservando del tuo “Didascalicon” i precetti, mi farò “umile e docile, assolutamente alieno dalle occupazioni mondane e dagli allettamenti delle passioni, diligente e zelante, disposto a imparare volentieri qualcosa da tutti; non dev’essere mai presuntuoso della propria cultura, deve fuggire come cibi avvelenati gli scritti che contengono dottrine false, deve trattare a fondo un argomento prima di formulare il suo giudizio; deve preoccuparsi di essere, non di apparire colto” e sarò tuo novello discepolo. E, come già quel tal grande poeta, cui dedicai un“cenotafio”, esorta il suo lettore, anch’io con te, maestro, mi augurerò che “la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze” e sempre avendo “in mente Itaca”, tacendo in silenzio imparerò quali siano“i sentieri da esplorare” e quale quella via “mistica” che a Dio porterà. Perché anche se al mondo chiuso non fosti un “monaco” ma un “chierico” aperto al mondo,  pure tu, maestro, di ogni uomo il massimo scopo considerasti l’unione con Dio, e fu la tua “schola” non solo dalla storia alla via “mistica” assegnata ma, come tu stesso la confermasti, anche la tua vita, se poi quel tal papa, che sul filosofo del “Sic et non” ordinò perenne il silenzio, sentendo di “Tusculum” la sofferenza, vescovo ti volle di quella città e cardinale e continuando la Chiesa beato. Perché se degno figlio del tuo tempo, tu, maestro, oltre la “turpe curiosità” di quel tal santo, che tanto costò a quel tal filosofo che la “Trinità” ritenne un “modo”, sapesti guardare ed osando che “la sapienza divina è desiderabile più di qualsiasi altra cosa, perché essa è la manifestazione del bene supremo” come già il filosofo di cui appena dicemmo, anche tu, maestro, quell’antico  connubio tra “ragione e fede” reclamasti e pur subordinando la “via razionale” che viene dalla ragione a quella“mistica” che viene dalla “fede” allo stesso scopo li destinasti: a quell’unione con Dio che dicevi, maestro, essere “desiderabile più di qualsiasi altra cosa, perché essa è la manifestazione del Bene supremo” e tanto avanzasti che sostenendo che “la sapienza divina illumina l’uomo, affinché possa conoscere se stesso” affermasti che la “filosofia è amore di quella sapienza che, nella sua assoluta perfezione, è vivo ed eterno pensiero, unica causa prima e originaria di tutte le cose esistenti” ed assegnando alle “arti tecniche” la stessa dignità  delle “arti liberali” del “trivio” e del “quadrivio”, arricchisti la filosofia e delle sue tradizionali tre parti ne facesti quattro. E considerando la natura non più un luogo misterioso da cui attingere simboli ed allusioni di una realtà superiore, quanto altrimenti l”autografo libro di Dio” e non più “furtiva o adulterina” se pur ancora “imitatrice” “appropriandosi”, aveva scritto quel primo accademico, “l’uomo artefice con le sue mani della perfezione delle forme divine”) l’opera dell’uomo, pure per primo,maestro, la elevasti ed affermando che“il complesso delle arti tecniche che comprendono tutte le attività del lavoro umano e che si dicono opportunamente meccaniche nel senso di imitatrici” ne facesti viatico alla loro gloria. Scrivevi, in verità, maestro, le arti tecniche comprendono sette scienze “la lavorazione della lana, la costruzione delle armi, la navigazione mercantile, l’agricoltura, la caccia, la medicina, gli spettacoli teatrali” e continuando”tre di queste scienze riguardano la difesa esterna che offriamo alla vita umana per proteggerla da ogni possibile danno e disturbo; quattro riguardano il rafforzamento interno che procuriamo alla nostra vita come suo alimento e sostegno” assomigliandole, nella suddivisione, alle stesse arti del trivio e del quadrivio. E mi piace qui, maestro, a me che di questa gloriosa terra salernitana ne sono indegno figlio, di pensare che, quando, in elenco tra le arti tecniche, annoveravi la “medicina”, forse pensavi proprio a questa mia città, che già molto, prima con Costantino e poi con i Plateario, alta, nel tuo secolo, suonava la gloria della sua “schola”, se ancora, come riferisce quel tal anonimo cronista, a giustizia perenne della sua primogenitura, già nel X secolo il vescovo di Verdun, Adalbero II, venne dalla Francia a Salerno “ut a medicis curetur” per farsi curare dei suoi calcoli renali. Perché, ed è qui, maestro, il tuo vanto, scrivendo tu che “esistono veramente tre diverse opere: di Dio, della natura e dell’artefice umano che imita la natura” tanto avvalorasti dell’uomo “artefice” la sua opera da metterlo accanto a Dio ed in un’epoca in cui accanto agli“orantes” in alto si tenevano “bellatores”, pesantemente in basso legando alla gleba, i “laboratores” tu, maestro, tutti li affrancasti e di quella “nova aetas” che stava per venire e che l’ “homo faber” avrebbe incoronato, ti facesti profeta. Scrivevi, in verità, nel tuo “ De sacramentis christianae fidei” che “ tutte le arti naturali servono alla scienza divina e la sapienza inferiore, rettamente ordinata, conduce alla superiore ” ed ancora che “due sono i modi e due sono le vie attraverso le quali Dio, che rimane dapprima nascosto al cuore dell’uomo, può essere conosciuto e giudicato: la ragione umana e la rivelazione divina. La ragione umana intraprende in due modi l’investigazione di Dio: in sé e nelle cose che sono fuori di sé. Similmente la rivelazione di Dio agisce in due modi a dissipare l’ignoranza o il dubbio dell’uomo: con l’illuminazione interiore e la dottrina esteriormente tramandata e confermata dai miracoli”, proponendo, perchè iscritto nei disegni di Dio, oltre l’alterigia dei “canoni” , quel connubio tra la “scienza sacra” e quella “profana” che fu ,maestro, il tuo vanto. E non fu forse il tuo “Didascalicon” considerato il primo manuale di “istruzioni didattiche”, quando, tu, maestro, e per quasi tutto il terzo capitolo, ammonendo il tuo lettore, scrivevi che  “tre cose sono necessarie a coloro che si dedicano allo studio: doti naturali, esercizio e disciplina. Per quanto attiene alle doti naturali, esse si rivelano quando lo studente capisce con facilità ciò che ascolta e lo conserva con memoria tenace; per quanto riguarda l’esercizio, l’allievo dovrà perfezionare con laboriosità e zelo le proprie disposizioni naturali; per quanto concerne la disciplina, lo studente, con una vita virtuosa, dovrà accordare il proprio comportamento alla sua cultura” e rimarcando con l’osservanza di un “metodo opportuno” la potenza della virtù dell’umiltà, per diverse linee, maestro, ti diffondi a ricordare che “procede nel modo migliore colui che cammina con passo regolare. Taluni hanno voluto fare un gran salto in avanti e poi sono caduti in un burrone. Non aver dunque troppa fretta, il filosofo Parmenide, secondo quanto si riferisce, dimorò per quindici anni su una rupe dell’Egitto, solo così raggiungerai prima la sapienza. Impara volentieri da tutti ciò che non sai, perché l’umiltà può farti partecipare del possesso di quel bene speciale che la natura ha riservato ad ogni singolo essere umano. Sarà più sapiente di tutti colui che avrà voluto imparare qualcosa da tutti: chi riceve qualcosa da tutti, finisce per diventare più ricco di tutti” e se poi qualcuno, continui, maestro, accusando la vecchiaia vorrà distogliere il tuo lettore dal suo desiderio di conoscere, non desisti ma come già quel “Temistocle, famoso sapiente della Grecia, all’età di centosette anni, sentendosi vicino alla morte, disse che gli dispiaceva di uscire dalla vita proprio quando aveva incominciato a sapere qualcosa”  ricordandogli che “ i poeti Omero, Esiodo, Simonide, Stesicoro, i quali, nella loro vecchiaia, sentendo appressarsi la morte, composero opere straordinariamente melodiose, simili al canto del cigno”. ancor più lo farai forte e fortificandolo nel suo desiderio di sapere ancor più lo frai grande, chè è possibile per la via della ragione con la fede di arrivare a Dio 

E fu tanto il tuo amore per il sapere che, fin da fanciullo, non volendo nulla lasciare all’ignoranza tutto volesti, maestro Ugo, non solo imparare e facendoti di quella scienza della “mnemotecnina” che tanto costò al nostro grande filosofo che di infiniti mondi credeva l’universo popolato, pioniere, anche tutto trattenere, quando scrivevi che  “mi ricordo di quando, da scolaro, mi sforzavo di riuscire a imparare i nomi, i vocaboli di tutte le cose che mi cadevano sotto gli occhi e che mi trovavo a usare. Ero giunto a convincermi che non può penetrare nella natura delle cose chi non ne conosce il nome ... e trovando le diverse obiezioni e assumendo i ruoli, che tenevo ben distinti, di retore, oratore e sofista. Inoltre ho fatto calcoli servendomi di pietruzze, ho tracciato col carbone delle rette sul suolo … molto spesso ho trascorso le nottate osservando le stelle. Di frequente ho teso su un telaio di legno delle corde di diversa lunghezza, suonando poi su questo strumento improvvisato per afferrare la diversità dei suoni e al tempo stesso godermi il piacere della melodia. Erano gioie infantili, ma certo non inutili. Non rimpiango certo oggi di sapere tutto ciò. Se racconto questo non è per vantarmi di quel che so, che poi è poco o niente, ma per mostrarti che, nell'acquisire la scienza, si progredisce adeguatamente solo se si procede metodicamente e secondo un programma e non come parecchi che vogliono fare un gran salto cadendo così nell'abisso… impara tutto, vedrai più tardi che niente è superfluo; una scienza limitata non dà alcuna gioia”. Impara tutto dunque, chè “nulla c’è di inutile nel sapere”, ma tutto ogni cosa concorre alla conquista della verità ed alla sua contemplazione nell’unione “mistica” con Dio. E ti piacque, , maestro, continuando, per aiutare il tuo allievo, in rapporto alla nostra ragione di distinguere che “alcune cose derivano dalla ragione, altre sono conformi alla ragione, altre sono al disopra della ragione, altre ancora contro la ragione”  e classificandole in quattro categorie affermare che “le cose che derivano dalla ragione sono necessarie, quelle conformi alla ragione probabili, quelle al disopra della ragione mirabili, quelle contrarie alla ragione impossibili” e rigorosamente, da filosofo, circoscrivendo di entrambi il dominio, affermasti che la fede non mai si oppone alla ragione e la ragione alla fede, quanto piuttosto, ed in anticipo sul santo d’Aquino, per opera della “grazia” trascendendola, insieme avanzeranno all’unione contemplativa con Dio e nel tuo “Soliloquium de arrha animae” ringraziando Dio per averci, averti dato “perfezione di sensibilità, prontezza di intelligenza, forza di memoria; mi hai dato la possibilità di esprimermi con scioltezza, di esporre piacevolmente i miei pensieri, di insegnare in modo convincente, di attuare i miei propositi, di comportarmi gradevolmente, di progredire negli studi, di raggiungere i miei progetti; mi hai dato conforto nelle avversità, cautela nelle circostanze felici”  e creando il mondo per servire l’uomo e l’uomo per servire Dio, tu che il “secondo Agostino” fosti chiamato, di questo cammino ascensionale ne leggesti tre momenti. Primo, rivolto al tuo allievo, scriverai, dovrai  imparare la “cogitatio” che è il pensiero che sale dal mondo e proviene dai sensi, e poi praticando la “meditatio”, che cerca di scorgere e penetrare il mistero delle cose nascoste, tentare, assai più ardua e verticale infine la “contemplatio”, che diffondendosi su tutte le cose conosciute, in una visione compiuta e manifesta, ce ne rivela l’essenza avanzando sempre più in alto verso Dio fino ad entrare in Lui e “penetrando internamente si trascende… indiandosi” in quell’”essercito di Cristo, che sì caro/ costò a riarmar”.

Ed in un tuo tempo, in cui “i Greci continuavano a chiedere sapienza ed i Giudei segni” tu, maestro, voce limpidissima, con la tua scuola, ti stagliasti e pur mirando a Dio, non mancasti però di premiare quelle “arti tecniche” che con le “liberali” fan trono a quella sapienza divina, che, fiero del buon lavoro svolto“abbiamo così concluso, nel modo più limpido e conciso possibile, la spiegazione di tutto ciò che riguarda lo studio” in congedo del tuo “Didascalicon”,  maestro, non manchi di invocare “affinché essa risplenda nel nostro spirito, ci faccia conoscere le sue vie e ci conduca al convito puro e perfetto, senza carne di animali” nel quale roteando in quella “santa mola” che a Dio canta la sua gloria, tu, maestro Ugo, nel cielo dei “sapienti” con “Pietro Mangiadore e Pietro Spano, / lo qual giù luce in dodici libelli” siedi  primo tra tutti coloro che coltivando in tre divisa la “filosofia” per la quarta li avanzasti! 

Questo, maestro, il mio epigramma per te “A te, maestro Ugo, che conoscendo contemplasti Dio, ride, con Anselmo e Mangiadore, il cielo dei sapienti”. 

Questo, maestro, nel marzo che mi appartiene l’amore e tutte le donne … il fiore che ti porto!    

                                                                                                       

Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di lunedì 8 marzo dell’anno del Signore 2021.

 

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